Quanto è vegan il tuo vocabolario?
Avete mai pensato a quante espressioni gergali e modi di dire proverbiali abbiano come protagonisti negativi gli animali?
Quanti proverbi e modi di dire nelle nostra lingua contengono allusioni ben poco vegane? La lingua non riflette altro che il modo in cui una società percepisce la realtà che la circonda e se tante sono le espressioni denigratorie contenenti riferimenti al mondo animale entrate nel gergo comune, significa probabilmente che la percezione che abbiamo degli essere non-umani non è esattamente positiva. E spesso è anche distorta. Rispondere “crepi il lupo” a chi ci augura un “in bocca al lupo” è infatti assolutamente errato: la lupa prende con la sua bocca i propri figlioletti per portarli da una tana all’altra, per proteggerli dai pericoli esterni. Dire “in bocca al lupo” è uno degli auguri più belli che si possa fare a una persona: è la speranza che questa possa vivere al sicuro dalle malvagità che la circondano come la lupa protegge i suoi cuccioli tenendoli in bocca. Da oggi in poi non rispondete quindi più “crepi” ma “grazie di cuore”.
Ma che origine hanno i detti proverbiali che hanno per protagonisti negativi gli animali?
“Fare la fine del topo”
Cioè perire in un luogo chiuso senza possibilità di scampo.
Può derivare dal fatto che un tempo i topi erano molto numerosi su tutte le navi, e che quando queste affondavano i topi ne seguivano la sorte senza poterne fuggire. Un’altra possibile origine può collegarsi al vecchio modo di disinfestare cantine e granai: una volta individuate le tane e le aperture dalle quali i topi sarebbero potuti uscire, queste venivano murate bloccando agli animali qualsiasi via di fuga.
L’uso di questa espressione ha cambiato nel tempo connotazione. Presso i latini veniva usata per chi moriva per propria colpa, alludendo alla tradizione secondo la quale nessun topo verrebbe mai catturato e ucciso se non tradisse la propria presenza con la sua voce stridula; i greci invece la riferivano a coloro che morivano serenamente di morte naturale, come si diceva succedesse al topo, spegnendosi lentamente, senza reagire. È possibile che l’attuale significato interpreti questa seconda versione, cogliendone soprattutto l’aspetto dell’inazione, del non far nulla per opporsi alla morte.
Si noti come il topo sia un animale che si presta bene a paragoni dispregiativi: tutte le estati si sentono ai telegiornali cronache di furti in casa ad opera di “topi d’appartamento”, ladri abili e veloci che condividono col povero roditore le movenze furtive, oltre che la tendenza a rubare cibo (o preziosi, i primi).
Invece…
La storia dei topi è da sempre stata indissolubilmente legata a quella dell’uomo. Originari dell’Asia, la loro presenza è tuttavia attestata nel bacino del Mediterraneo già nell’8000 a.C., anche se essi tardarono a diffondersi nel resto d’Europa, dove li si trova solo a partire dal 1000 a.C. Successivamente, grazie ai commerci e alle campagne militari, il topo ha esteso il proprio habitat pressoché a qualsiasi parte del globo, anche alle isole più remote.
Proprio grazie ai topi, si è potuta tracciare una mappa dei primi spostamenti effettuati dagli uomini rimasti sconosciuti in quanto svoltisi in periodi in cui non si conosceva ancora la scrittura.
I topi prima che cavie da sperimentazione in laboratorio sono animali che dimostrano socialità complessa, capacità empatiche (soprattutto con gli altri membri della specie) e comportamenti morali.
“Ratti e topi non sono considerati in generale animali di compagnia ma animali nocivi, e ci sono quindi poche persone che si diano la pena di difenderli. Eppure il dolore che prova un ratto o un topo è altrettanto reale di quello provato da uno dei nostri amici a quattro zampe. Nei laboratori essi soffrono, come ben sa chiunque li abbia sentiti lamentarsi, piangere, uggiolare e persino gridare. Gli scienziati dissimulano su tutto questo, sostenendo che i loro animali sperimentali stanno semplicemente vocalizzando”.
– Jeffrey Moussaieff Masson
“Sei proprio un maiale!”
Per dire che una persona è volgare o sboccata o mangia in modo esagerato, abbuffandosi.
In quest’ultimo caso si fa riferimento al fatto che quando un maiale mangia una ghianda è incapace di accontentarsi ed immediatamente ne vuole un’altra. Questa caratteristica lo ha reso nella tradizione artistica il simbolo dell’ingordigia e del vizio. Proprio in contrapposizione a queste caratteristiche, l’icona della castità è stata spesso ritratta nell’atto di calpestare un maiale alludendo alla sua vittoria sul vizio sessuale.
Diversa è l’origine dell’insulto rivolto a chi assume un comportamento volgare: in tal caso l’allusione è legata esclusivamente alla sporcizia a cui classicamente questi animali vengono associati (trattasi, per inciso, di una concezione comune errata, essendo il maiale di per sé un animale abbastanza pulito, costretto piuttosto a vivere nello sporco più per decisione degli allevatori che per sua indole).
Invece…
Lo studioso austriaco Johannes Baumgartner rivela attraverso i suoi studi una verità importante su cui tutti dovremo un po’ riflettere. Egli ha spiegato che i maiali hanno grandi abilità cognitive, paragonabili forse a nessun’altra specie animale (neanche al cane). Dal punto di vista emotivo provano paura e gelosia, sono competitivi e hanno un grande senso della famiglia. Mediante il loro grufolare comunicano gioia, stress, paura o dolore. La loro capacità di adattamento a luoghi e situazioni diverse è formidabile e riescono addirittura a pensare in modo strategico e a comprendere matematicamente, distinguendo il tanto dal poco.
“Ingoiare il rospo”
Quando si deve accettare controvoglia un fatto spiacevole.
Del resto si sa che in genere l’animale in questione suscita un senso di ribrezzo e repulsione accomunato anche a credenze che lo vogliono velenoso (le streghe nella tradizione usavano la bufotenina, una sostanza contenuta nelle secrezioni della pelle del rospo).
Lo studioso di tradizioni popolari Carlo Lapucci, nel suo “Modi di dire”, ipotizza invece che la locuzione derivi dalla difficile digestione che provoca nella serpe una tale preda, col suo corpo tozzo e la pelle viscida coperta di verruche. Certo è che anche dire “sei un rospo” a un uomo per indicare la sua scarsa avvenenza completa l’immagine negativa del rospo nell’immaginario collettivo.
Invece…
Per chi crede nel potere predittivo dei sogni, sognare rane e rospi è in genere molto positivo perché la loro simbologia è connessa alla fertilità, alla vitalità e creatività, nonché alla trasformazione e metamorfosi. Questi anfibi, benché siano percepiti come animali alquanto sgradevoli per il loro aspetto viscido e il verso sgraziato, sono dei portafortuna sia nei sogni che nella realtà.
“Cervello di gallina”
Per dire che una persona è stupida e poco intelligente.
Per molto tempo si è ritenuto a torto che la quantità della massa cerebrale fosse in diretto rapporto con l’intelligenza. Di conseguenza, un individuo veniva considerato tanto più intelligente quanto più “cervello” aveva. Le galline, che anche per ovvie questioni anatomiche, hanno un cranio molto piccolo sono state da sempre considerate emblema di ottusità e stoltezza.
Invece…
E’ bene invece sapere che uno studio pubblicato su Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences) condotto proprio sui polli (Gallus gallus) ha dimostrato che i cervelli dei mammiferi e quelli degli uccelli sono molto più simili di quanto si pensava. Mentre gli esperimenti di Zayan e Domken, due ricercatori dell’università belga di Louvain, hanno dimostrato che questi animali si organizzano in gruppi gerarchici, sono capaci di distinguere tra individui familiari o estranei e, di conseguenza, le galline sottomesse nel loro pollaio si comportano in modo remissivo di fronte alle conoscenti, mentre attaccano quelle estranee.
“Pezzo d’asino!”
Per dire che una persona è stupida e testarda: insulto che si riferisce alla cocciutaggine, caratteristia tradizionalmente attribuita all’asino. Oltre che simbolo di testardaggine, l’asino è considerato anche simbolo di ottusità e ignoranza: infatti compare in tante allegorie e/o simbologie come nella fiaba di “Pinocchio” di Collodi (animale in cui il burattino si trasforma) mentre è entrato nell’uso comune il copricapo con orecchie d’asino o l’appellativo di asino o somaro spettano allo studente pigro e svogliato o comunque poco intelligente.
Invece…
Gli asini sono animali molto obbedienti, con una grande capacità di apprendimento. Molto fedeli al proprio padrone, del quale tendono ad assimilare comportamenti e carattere, gli asini riflettono la capacità del proprietario di essere amabile nei loro confronti. Conseguentemente a un’educazione non corretta, l’asino può sicuramente diventare un animale piuttosto testardo, e questo gli ha guadagnato un’ingiusta fama di scarsa intelligenza; ma ciò dipende piuttosto dal suo naturale istinto di conservazione: quando si vuole forzare un asino a fare qualcosa che sia o gli sembri contrario ai propri interessi sicuramente lo troveremo estremamente recalcitrante.
“Lavorare come un mulo”
Nel senso ovviamente di lavorare troppo e duramente. Esattamente come accade nella realtà con l’animale mulo, l’asino o qualsiasi altro animale da soma, che vengono impiegati in lavori faticosi e continuativi.
Invece…
Si tratta di un animale frugale, dotato di forza, grande capacità di resistere alle condizioni più difficili e agli sforzi fisici. E’ stato uno degli animali più vicini all’uomo nel suo lavoro e nel corso della sua storia: è infatti un lavoratore instancabile che aiuta gli imprenditori agricoli a trasportare pesi e ad arare i campi, oltre a essere un animale che si cavalca facilmente… Sempre che sia stato cresciuto in maniera corretta.
Il carattere del mulo non è, infatti, del tutto una leggenda dal momento che si tratta di animali con uno spiccato spirito d’indipendenza e testardaggine. La rusticità che contraddistingue il mulo è però gestibile se lo si cresce in modo sereno, evitando rigide imposizioni che potrebbero accentuarne la scontrosità e facendone emergere l’alacrità: due caratteristiche che convivono da sempre in questo riuscitissimo incrocio tra l’asino e il cavallo.
Attenti quindi ad affibbiare al vostro prossimo tare o virtù in modo stereotipato utilizzando immagini animali. L’animale in questione forse non lo merita.
Serena Porchera
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