Carenza di colina (vitamina J) nella dieta vegana: “Allarmismo infondato”
Della colina e della sua carenza nella dieta vegana si parla da qualche giorno, dopo la pubblicazione di una lettera sul British Medical Journal: la dottoressa Silvia Goggi, medico nutrizionista, spiega perché si tratta di un allarme infondato
Se in principio era la vitamina B12 – nutriente essenziale attorno al quale gravitano falsi miti, sfatati a più riprese dalla Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana (SSNV) – oggi al centro dell’attenzione (e delle polemiche) c’è la colina, nota anche come “vitamina J”, nutriente essenziale per la funzione nervosa e muscolare, ma fondamentale anche per tenere sotto controllo i livelli di colesterolo nel sangue e per proteggere la salute del fegato. La sua recente notorietà si deve alla pubblicazione di una lettera (o, per meglio dire, parte di essa e non di uno studio) sulla rivista scientifica British Medical Journal, redatta dalla dottoressa Emma Derbyshire – specializzata in nutrizione e scienze biomediche – secondo la quale senza consumare carne, pesce, uova e latticini si rischierebbe la carenza di questo nutriente essenziale. Insomma, ancora una volta la dieta vegana è sotto i riflettori, tacciata di provocare carenze nutrizionali.
Una nota stampa divulgata dalla SSNV ha spiegato, per prima cosa, chi è la dottoressa Derbyshire: “La ricercatrice autrice della lettera è legata all’industria della carne del Regno Unito. Come specificato in calce all’articolo stesso, la Derbyshire fa infatti parte del Meat Advisory Panel, un comitato consultivo finanziato dall’industria della carne”. In effetti nelle note dell’articolo è possibile leggere, nella sezione, “Interessi in concorrenza” che la dottoressa “Non ha ricevuto fondi per scrivere l’articolo, tuttavia è consulente del The Meat Advisory Panel”. Online, sul sito del MAP, è possibile trovare anche un altro articolo della stessa dottoressa, intitolato:”Un nuovo studio evidenzia il ruolo cruciale della carne rossa nel colmare il divario nutrizionale”.
Dieta vegana e carenza di colina: c’è un collegamento?
La dottoressa Derbyshire, allarmata dalla tendenza a seguire una dieta plant based da parte di una fetta sempre più grande della popolazione, solleva il problema puntando il dito contro la dieta vegana e sulla sua presunta pericolosità, in quanto carente di questo nutriente essenziale. In realtà, secondo quanto affermato dal National Institute of Health (NIH), principale agenzia governativa americana responsabile della ricerca in campo medico, il nostro fegato è in grado di sintetizzare autonomamente una quota di questa vitamina; il resto necessario per raggiungere le dosi raccomandate, viene introdotto nell’organismo tramite la dieta, anche attraverso una grande quantità di alimenti vegetali.
“L’allarmismo intorno a una presunta carenza di colina è infondato – dichiara ai nostri microfoni la dottoressa Silvia Goggi, medico chirurgo e nutrizionista specializzata in Scienze dell’Alimentazione a base vegetale – Quella che non riusciamo a sintetizzare nel fegato la possiamo assumere tranquillamente da quei vegetali che sono comunque sempre presenti in una dieta vegetale: cereali, verdure verdi in foglia, legumi, frutta secca. Il vero problema, piuttosto, è assumere colina dai derivati animali. Al contrario di quella vegetale, viene convertita in TMAO dalla flora batterica intestinale, una molecola molto pericolosa per la salute cardiovascolare” conclude.
Infine, la presidente della SSNV, la dottoressa Luciana Baroni, spiega: “Ben lungi dal dover assumere colina attraverso prodotti di origine animale, è sempre preferibile ricavarla da frutta, verdura, cereali, frutta secca e legumi, che ne sono ricchissimi. Ad esempio, la soia contiene più colina di manzo e pollo; le patate e la maggior parte dei legumi ne hanno più dei prodotti lattiero-caseari e del tonno. Va sempre ricordato – chiosa Baroni – anche attraverso la stampa, che sono sempre i vegetali la fonte più sana di qualsiasi nutriente”.