Visoni, PETA scrive ai produttori italiani di pellicce: “Diventate agricoltori”
L’organizzazione animalista propone la chiusura definitiva degli allevamenti di visoni e dà speranza ai lavoratori del settore, offrendo il proprio aiuto per la riconversione delle loro attività.
Sfruttare il momento di crisi per riconvertire la propria produzione in un’attività “non violenta”, come quella di agricoltori da frutta. E’ la proposta avanzata dalla PETA all’italiana AIP, l’organizzazione che rappresenta nel nostro Paese le diverse categorie che lavorano e commercializzano le pellicce. Lo spunto da cui nasce l’idea dell’organizzazione animalista è l’attuale sospensione fino a fine anno delle attività di allevamento di visoni destinati alla produzione di pellicce decisa dal Ministro della Salute, Roberto Speranza, in via precauzionale dopo i casi di contagio da Sars-CoV-2 negli allevamenti in molti Paesi europei e anche in Italia.
La lettera
La proposta è contenuta in una lettera che la PETA ha indirizzato a Roberto Tadini, presidente dell’Associazione Italiana Pellicceria.
Nella missiva pubblica, Mimi Bekhechi, vicepresidente dei programmi internazionali di PETA, chiede “la chiusura definitiva degli allevamenti di visoni” e propone di aiutare le persone colpite dalla sospensione e dalla potenziale chiusura definitiva delle attività legate all’allevamento di visoni, riconvertendo quest’ultime in una professione non violenta: quella degli agricoltori da frutta.
L’obiettivo è quello di dare ai lavoratori italiani del settore industriale delle pellicce, che stanno attualmente vivendo un periodo di crisi, “l’opportunità di intraprendere la più onorevole professione di coltivatori di meloni e altra frutta, migliorando il loro benessere e la loro sicurezza in un ambiente libero da sangue, morte e malattie“.
Allevamenti da pelliccia: serbatoi di virus
In tutto il mondo si sono registrati focolai del nuovo coronavirus in molti allevamenti da pelliccia. Il confinamento degli animali in minuscole gabbie rappresenta, infatti, un potenziale rischio per lo sviluppo e la diffusione del Covid-19, che può diffondersi facilmente attraverso l’urina, gli escrementi, il pus e il sangue degli animali.
Il caso che ha fatto più scalpore è quello della Danimarca, costretta, a giugno 2020, ad abbattere 17 milioni di visoni a causa di una mutazione genetica del virus SARS-CoV-2 che ha colpito gli animali.
Anche in Italia è stata rilevata la diffusione del virus in alcuni allevamenti da pelliccia. Infatti, lo scorso novembre, sono stati abbattuti 26.000 visoni in seguito ad un’ordinanza del Ministro della Salute Roberto Speranza, il quale a febbraio ha prorogato in via cautelare la sospensione dell’allevamento di visoni destinati alla produzione di pellicce fino al 31 dicembre 2021.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 75% delle malattie infettive emergenti che colpiscono gli esseri umani ha avuto origine negli animali. Secondo Mimi Bekhechi “è chiaro che proseguire con le attività dell’allevamento di visoni risulterebbe pericoloso. Le future pandemie potrebbero essere anche peggiori“.
Un settore destinato a scomparire?
Il settore delle pellicce è in crisi da diversi anni, ancor prima della pandemia da Covid-19. Infatti, sempre più persone ritengono inaccettabile relegare in gabbia animali per poi ucciderli, ottenendo un prodotto, la pelliccia, anacronistico. Diverse sono le aziende che hanno recepito la nuova sensibilità dei consumatori e si sono adattate, come Furla, Versace, Giorgio Armani, che hanno detto addio all’uso delle pellicce degli animali per la produzione dei loro capi di vestiario, dichiarandosi così fur-free. “Gli allevamenti di pellicce dovrebbero essere relegati nei libri di storia e gli allevatori di visoni dovrebbero svolgere altri lavori. Siamo pronti ad aiutarli“, ha concluso Mimi Bekhechi.