Non è stata indicata una data di ripresa del periodo di pesca del polpo nella direttiva firmata a fine marzo 2025 dal governo tunisino. Dal 1° aprile scorso, lungo le coste del Paese non sarà più permessa la pesca del polpo, a causa dei dati sempre più preoccupanti sul numero di esemplari presenti. La stagione di pesca avrebbe dovuto concludersi il 15 maggio.
Le esportazioni tunisine di polpo sono diminuite costantemente, passando da circa 1.900 tonnellate nel 2017 a circa 1.100 tonnellate nel 2020, indicando una significativa riduzione delle catture. I problemi sono sostanzialmente tre: il primo è la pesca in sé, che avviene in modo indiscriminato e con sistemi spesso non idonei, causando gravi danni anche alle coste; il secondo è la pesca illegale non tracciata, che non rispetta le regole atte a garantire il periodo di ripopolamento della specie; il terzo è la crisi climatica, che sta modificando i comportamenti della specie, inficiandone la riproduzione nelle acque sempre più calde del Mediterraneo.
L’Ong Kraten, che si batte per lo sviluppo sostenibile, ha più volte sollevato il problema negli ultimi anni. Ahmed Souissi, presidente dell’associazione, ha spiegato che la decisione è certamente positiva, anche se arriva tardi rispetto agli allarmi lanciati più volte non solo dal suo gruppo, ma anche dagli stessi pescatori “legali”, che avevano già riscontrato una diminuzione costante della popolazione di questi animali. La pesca illegale comporta il prelievo di polpi troppo piccoli, che non hanno ancora avuto modo di riprodursi, creando un ulteriore squilibrio rispetto a quello già grave determinato dalla pesca regolare.
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