Virus e vegan, Leenaert: “No all’opportunismo ideologico, doppiamo costruire senza puntare il dito”
L’attivista ed esperto di comunicazione vegan Tobias Laaneart ci spiega quali sono i punti ai quali porre attenzione.
Attenersi ai fatti, e non dimenticare l’empatia. Anche in tempi di Coronavirus rimane questa la strategia più efficace per parlare di vegan secondo Tobias Laanaert. Mentre emergono con sempre più evidenza le connessioni tra il sistema di sfruttamento animale e la diffusione di virus come il Covid-19, abbiamo intervistato l’attivista belga per i diritti degli animali, autore del blog vegano “The vegan strategist”, che si occupa proprio dei modi più efficaci per comunicare le grandi questioni della cultura vegan a chi vegan non è.
Il momento anche per il movimento vegan, è infatti tra i più delicati: come accendere il faro su temi mai così attuali come quelli degli effetti del sistema di produzione della carne senza correre il rischio di essere tacciati di opportunismo ideologico? La strada, ci spiega l’attivista, è oggi più di ieri quella della cosiddetta “opinione lenta”: “Siamo compassionevoli. Non scriviamo per puntare il dito o incolpare qualcuno. Questo – è la lezione di Laanaert – è il momento di lavorare insieme in modo costruttivo”.
In questo momento coloro che si occupano di comunicazione sui temi del veganismo e dei diritti animali hanno la sensazione di camminare sulle uova: qualsiasi azione può apparire sia estremamente efficace sia molto controproducente: ha la stessa sensazione?
È una questione interessante e complessa. Penso che la prima domanda alla quale dobbiamo rispondere è capire se siamo supportati dai fatti: l’impiego e sfruttamento degli animali da parte della società comporta un aumentato fattore di rischio per le pandemie? Credo che la risposta sia sì. Possiamo tranquillamente affermarlo, anche se le questioni potrebbero essere più sfumate di quanto affermano alcuni esponenti del mondo vegano. In effetti, già in un rapporto del 2004 l’OMS cita l’aumento della domanda di proteine animali come fattore di rischio per l’insorgenza e la diffusione di malattie zoonotiche. Dato per assodato che catturare, allevare, vendere, macellare e consumare animali su larga scala aumenta efficacemente il rischio di pandemie, è chiaro che ci sia chi punti l’attenzione su questi argomenti, soprattutto perché generalmente non ne sentiamo molto parlare.
La connessione tra questa crisi e lo sfruttamento della natura da parte degli umani viene comunicata in modo corretto o questa connessione non sta emergendo?
Vedo che a parlare di questo argomento sono sopratutto i vegani. Ho trovato corretti gli articoli che sono stati pubblicati, anche se ovviamente non conosco tutto quello che viene pubblicato sui social media. Mi piacerebbe che ne parlassero di più gli esperti, specialmente quelli non vegani.
Qual è il rischio che gli attivisti vegani corrono in questo momento parlando di questo collegamento, benché esso sia molto chiaro?
Penso che uno dei problemi principali sia passare per opportunisti. Effettivamente, ogni qualvolta che chi si occupa dei diritti e della sofferenza degli animali parla o scrive di quelli che sono gli altri vantaggi connessi al veganesimo (come quelli sulla salute, le questioni ambientali o il rischio ridotto di una pandemia) può sembrare che lo faccia per portare acqua al proprio mulino. E quando chi non è vegano ha questa impressione può poi reagire negativamente a qualsiasi cosa si scriva o si dica al riguardo. D’altra parte, proviamo a immaginare un non vegano che parla della connessione tra la nostra relazione con gli animali e le pandemie. O un esponente del governo che non ha alcun legame con il movimento vegano e non può essere sospettato di avere interessi con la questione dei diritti degli animali. Prendiamo il dottor Anthony Fauci, negli Stati Uniti. Supponiamo che improvvisamente dica che dobbiamo riesaminare quello che è il nostro utilizzo degli animali in generale, incluso ciò che ha a che fare con gli allevamenti intensivi. Naturalmente si imbatterebbe anche in reazioni difensive (la gente non vuole rinunciare a mangiare la carne), ma lui suonerebbe molto più credibile di noi, non solo perché è un esperto e una figura autorevole, ma anche perché è un “insospettabile”.
Da questo punto di vista, sono stati commessi grossi errori secondo lei?
Gli articoli che ho visto finora mi sono sembrati equilibrati, non esagerati, di taglio sufficientemente scientifico (almeno secondo la mia opinione di “profano”).
Nel suo libro “How to create a vegan world”, parla della necessità di creasi “lentamente” un’opinione, ma anche del fatto che ci sono situazioni in cui è necessaria un’accelerazione: crede che questa pandemia sia uno di questi momenti?
Continuo a pensare che anche in questo caso, e forse soprattutto in questo caso, dovremmo stare attenti nel nostro modo di pensare e di comunicare. Ma penso anche che sia giusto per noi diffondere il messaggio dei pericoli che lo sfruttamento animale pone rispetto alle pandemie. Sono rimasto anche stupito, ancora una volta, di quanto sfortunatamente la paura sembri essere più potente dell’empatia. Con altre crisi, quando c’è stato un legame più diretto tra il consumo di animali e le infezioni, abbiamo visto che molte persone hanno evitato almeno temporaneamente i prodotti che potevano comportare dei rischi. Personalmente, preferisco parlare di più di argomenti positivi, che hanno a che fare con l’amore, la cura, l’empatia, e non mi piace giocare sulla paura delle persone. Ma questo ci fa riflettere…
Quale consiglio darebbe in questo momento a coloro che sentono l’urgenza di comunicare che fermare lo sfruttamento degli animali è una delle chiavi principali per garantire che gli esseri umani non si trovino più in una situazione simile?
Ecco alcuni consigli che mi vengono in mente a proposito della comunicazione sul tema della connessione tra lo sfruttamento degli animali e la pandemia di coronavirus:
– attenersi ai fatti e non esagerare. Non essere un “vegalomane”. Il veganismo non è la soluzione per tutto e non è mai l’unica soluzione per qualcosa;
– essere compassionevole: bisogna essere consapevoli del fatto che molte persone stanno lottando e non possono permettersi il lusso di preoccuparsi o pensare a ciò che mangiano in questo momento (e forse nemmeno successivamente);
– fare attenzione a non dare la colpa ai cinesi o ad altre persone o nazioni. Le pandemie sono un fenomeno globale, non legato alla geografia o alla cultura;
– essere consapevoli, e forse esplicitare, il proprio essere “di parte” in quanto vegani;
– essere costruttivi: non scrivere per puntare il dito o incolpare qualcuno. Questo è il momento di lavorare insieme in modo costruttivo.