Dai fiori nasce un tessuto vegano: in India ecco il “flowercycling”
L’innovativa tecnologia di una start up permette di creare un tessuto vegetale simile al cuoio dagli scarti floreali in un’ottica di economia circolare
Possono i fiori essere considerati un rifiuto capace di inquinare e creare gravi problemi all’ecosistema? Se si tratta di montagne di fiori recisi e poi scaricati in un fiume come il Gange, sì. Succede in India, dove quotidianamente enormi quantità di fiori usate come ornamento nei templi indù vengono poi rimossi e buttati nelle acque del fiume sacro e dove una start up, la Phool.co, ha trovato il modo di riciclarli per creare niente di meno che un inedito tessuto vegano simile nelle caratteristiche di resistenza alla pelle.
Il tessuto che viene dai fiori
“Fleather”, a metà tra flower (fiore) e leather (pelle): questo è il nome scelto per il nuovo materiale, scoperto quasi per caso. E’ dal 2017, infatti, che la Phool.co raccoglie e si occupa del riciclaggio dei fiori dei templi indiani, riconvertiti in incensi e fragranze profumate prive di carbone. Proprio osservando una particolare reazione chimica che avveniva sui fiori accatastati, in attesa di riciclo, ad opera di quello che poi si sarebbe scoperto essere un particolare microrganismo, gli scienziati della start up indiana sono arrivati al nuovo materiale. Il microrganismo in questione si nutre, infatti, dei petali dei fiori formando una sorta di patina bianca molto resistente, che i ricercatori della Phool.co hanno poi trovato il modo di ottimizzare in laboratorio trasformandola in un tessuto vegano e biodegradabile simile al cuoio, utilizzabile in molti settori, a partire da quello della moda, con effetti positivi sia sull’ambiente sia, in prospettiva, sulla salvaguardia degli animali usati solitamente per la produzione di pelli.
Il “flowercycling”
I prodotti della Phool.co danno risposta a un problema di inquinamento e rifiuti, dovuto ai fiori, quasi inimmaginabile per noi, se si pensa che sono 8 milioni le tonnellate di fiori, con annessi pesticidi e inquinanti, riversati ogni anno nel fiume sacro nel quale gli indiani si bagnano e che la cui acqua usano anche a scopo alimentare. L’azienda ha stimato che sono quasi 8 e mezzo le tonnellate di fiori di scarto raccolti quotidianamente dai templi della zona dell’Uttar Pradesh che evitano di finire nelle acque del Gange grazie all’innovativa tecnologia definita “flowercycling”. Non solo. La Phool si avvale, per scelta, soprattutto di lavoratrici donne (73 quella assunte a tempo pieno) che, grazie al lavoro di riciclo dei fiori, possono sostenere sé stesse e la propria famiglia uscendo dalle condizioni di estrema povertà alle quali sono spesse costrette dal sistema delle caste indiano. “Siamo la genesi del nuovo modello di economia circolare: un flusso di rifiuti inimmaginabile, che punta al cambiamento dei sistemi. Oggi – spiega la start up – i templi ortodossi e le autorità religiose vogliono far parte della nostra missione, indicando un cambiamento contro una pratica religiosa dannosa vecchia di un secolo qual è quella di scaricare i rifiuti dei templi nel fiume indiano”.