La “guerra” contro il virus non esiste: ecco perché Michela Murgia ha ragione
Il linguaggio che stiamo utilizzando per raccontare la pandemia sta spostando il focus del problema, per sottrarci alle nostre responsabilità: come sempre.
La giornalista e scrittrice Michela Murgia è stata pesantemente attaccata, qualche settimana fa, a causa delle sue affermazioni – decontestualizzate – in relazione alla scelta da parte del nostro Governo di scegliere il Generale di Corpo d’Armata Francesco Paolo Figliuolo come commissario straordinario per l’emergenza Covid.
Secondo la giornalista, il fatto che l’emergenza sanitaria venga gestita, unico caso in Europa, da una figura militare è il sintomo del fallimento della politica, ma non solo, anche della mancata comprensione di quello che sta realmente accadendo. Come sempre la parole, il linguaggio e l’informazione che in questo anno hanno accompagnato, spesso malissimo, una situazione senza precedenti hanno un ruolo enorme.
Secondo Murgia “la metafora di guerra utilizzata è falsa. Il virus non è un nemico da combattere, uno a cui spezzeremo le reni, ma un organismo con il quale dovremo imparare a convivere ripensando i nostri comportamenti. Prima dismettiamo la retorica da trincea – conclude la giornalista – prima acquisiamo quella del cambiamento”. Il linguaggio, le parole modellano il nostro modo di pensare e di porci nei confronti del mondo. Il filosofo Umberto Galimberti, in una lectio durante l’ultimo Salone della Cultura di Milano dello scorso gennaio 2020, ha spiegato chiaramente questo concetto: “Noi pensiamo limitatamente alle parole che conosciamo e usiamo”. Le parole di guerra che leggiamo, la battaglia contro un nemico che viene da “fuori”, che ci attacca, in relazione al virus pandemico, sono semplicemente sbagliate.
Chi ha voluto, durante questo lungo anno fatto di porte chiuse, mascherine e calendari dei colori, ha capito che la genesi di questa pandemia ha a che vedere con l’idea di essere qualcosa di diverso e lontano dalla natura dalla quale preleviamo, distruggendola, qualsiasi risorsa riteniamo utile, senza pensare alle conseguenze. Non possiamo illuderci che la pandemia sia una guerra e che “tornare come prima” sia un’opzione che ci riporterà, quindi, alla pace. “Non siamo vittime innocenti – chiude Murgia – la retorica di guerra ci consente di pensare che questa situazione sia indipendente dai nostri stili di vita”. Quella che viviamo non è una guerra, è una lezione: ma in quanti davvero la stanno seguendo?