Olio di palma: fa male? Facciamo chiarezza con la ricercatrice CREA
L’olio di palma, il suo ruolo nella nostra alimentazione e la corsa ai ripari di grandi marchi e aziende che cercano di trovare una soluzione: ecco cosa ne pensa una ricercatrice del CREA
Stefania Ruggeri è una ricercatrice e nutrizionista del CREA, il principale ente di ricerca italiano dedicato all’agroalimentare, insegna Scienze e Tecnologie alimentari presso la facoltà di Medicina dell’Università di Tor Vergata a Roma. L’abbiamo raggiunta per cercare di fare un po’ di chiarezza sul tema del consumo di olio di palma nel nostro paese, anche in seguito alla campagna mediatica lanciata da Ferrero riguardo la sostenibilità ambientale nell’uso di questo ingrediente nei suoi prodotti.
Le notizie che arrivano sull’olio di palma dai vari fronti sono contrastanti: che cosa succede?
Succede che effettivamente la campagna di allarme nei confronti dell’olio di palma ha funzionato, molte aziende lo hanno sostituito e eliminato del tutto e altre si stanno muovendo per migliorare il prodotto.
Ferrero dice che la loro produzione è sostenibile…
Non conosco nel dettaglio la loro modalità di produzione. Certo è che forse è molto difficile assicurare grandi quantità di olio di palma prodotto in modo sostenibile e i prezzi dovrebbero essere più alti di quelli che abbiamo sul mercato oggi: una spremitura a freddo implica costi molto più elevati rispetto ai processi di raffinazione che si usano normalmente. Però io sono fiduciosa: l’azienda nel suo interesse cerca di rispondere alle esigenze dei consumatori e quindi aspettiamo e vediamo cosa succede.
Quindi l’olio di palma fa male?
Non fa male di per sé, dipende sempre dalla dose. Il punto è che sicuramente, prima della campagna contro l’olio di palma, ne assumevamo molto e in modo inconsapevole (e ciò è un fatto grave), e questo perché le etichette nutrizionali non erano chiare. Per noi consumatori era un grasso saturo “nascosto”: compravamo i prodotti pensando di assumere solo grassi vegetali e quindi quelli polinsaturi, quelli “buoni” e invece assumevamo grassi saturi. La nostra alimentazione era ricca così di troppi grassi saturi e superavamo i livelli che giornalmente possiamo assumere, quello che i LARN (ossia i livelli di assunzione di riferimento per la popolazione italiana, ndr) ci indicano. Ricordiamo che un eccesso di grassi saturi, di zuccheri sono tra le cause principali dell’obesità, delle malattie cardiovascolari (ictus, infarto) dei tumori… I bambini erano i soggetti maggiormente esposti: merendine, cracker, gelati, molti prodotti che utilizzano nella loro alimentazione contenevano l’olio di palma. Ora nelle etichette è obbligatorio essere chiari e questo aiuta il consumatore ad una scelta consapevole. Ognuno di noi poi è libero di scegliere i prodotti che vuole : però sa a che rischi va incontro.
Cosa dicono esattamente i LARN sugli acidi grassi saturi?
I livelli di assunzione di riferimento sono chiari : il consumo totale di grassi saturi in una giornata non deve superare il 10% delle calorie totali. Non sembra, ma e’ facile superare questo livello.
Ma come mai le aziende continuano ad usare l’olio di palma?
E’ un grasso funzionale alla produzione su ampia scala: garantisce un’ottima conservazione dei prodotti, non ha un sapore determinante ed in più ha costi molto bassi di produzione. Per le aziende l’olio di palma quindi è perfetto.
Lei come si è schierata nella campagna contro l’olio di palma?
Io mi sono subito schierata per il “no”, perché in queste situazioni, su questi temi, se vogliamo migliorare l’alimentazione della gente e quindi la salute, secondo me non esiste una posizione intermedia.