Ogm in Italia? Li usiamo, ma non vanno temuti, vanno capiti
Il tema degli organismi geneticamente modificati (OGM) è uno fra quelli sui qual il rischio di creare confusione è molto alto, ma si tratta di un argomento molto importante, soprattutto quando parliamo di alimentazione. La redazione di Vegolosi.it ha raggiunto Beatrice Mautino, biotecnologa, divulgatrice scientifica e autrice, con Dario Bressanini, del libro “Contro Natura” edito da Rizzoli, per cercare di capirne un po’ di più.
Esiste una definizione univoca del termine OGM?
Certamente, ma è una definizione data dalla legge: si tratta di un decreto europeo del 2001 che definisce quali sono gli organismi che possono essere chiamati OGM. Benché molti organismi viventi siano geneticamente modificati sia in modo spontaneo, sia per interventi dovuti all’uomo, solo un sottogruppo di questi è considerato OGM: è una definizione legale più che scientifica. Si è stabilito quali tecniche dovessero essere considerate OGM e quali no: quello che noi consideriamo oggi OGM domani, se la legge cambia, potrebbe non esserlo più.
Gli OGM sono molto più complessi rispetto a quello che viene definito per legge?
Ci sono tantissimi modi per intervenire sul Dna: quelli utilizzati da sempre, per esempio, sono le mutazioni, ossia modifiche spontanee nel corredo genetico di un organismo (per esempio in un campo di cavolfiori bianchi ne cresce uno completamente giallo), avvengono casualmente, non sono indotta dall’uomo ma l’uomo può decidere di farle proliferare se le ritiene utili. Questo tipo di modifiche si possono ottenere anche in laboratorio colpendo gli organismi con delle radiazioni nucleari e ottenendo delle mutazioni che avranno conseguenze sulla pianta: potrà crescere più alta, più bassa, con più semi, etc.
In laboratorio è possibile anche riprodurre delle modificazioni che avvengono già in natura ossia gli incroci con specie diverse. Nelle piante, per esempio: il grano tenero che noi tutt’ora utilizziamo è una sorta di “mostro” nato dall’incrocio tra un farro e un erba spontanea. Questo si può ottenere anche in laboratorio come è accaduto con il Tritordeum (nella foto qui in basso). Tutti questi metodi, però, non sono ritenuti OGM dalla legge.
Gli OGM possono essere definiti “innaturali”?
Dipende tutto da che cosa consideriamo “naturale”: molti ritengono che “naturale” sia tutto ciò che non è stato intaccato in nessun modo dall’uomo, ma si tratta di pochissime cose, ovviamente; per alcuni non sono naturali i grani ottenuti con i bombardamenti nucleari; per altri anche l’agricoltura non è naturale, perché si tratta comunque di un guerra dell’uomo verso la natura che non è certamente lì per far crescere le piante per noi: quando coltiva, anche in modo biologico, l’agricoltore combatte contro piante infestanti e contro i parassiti. Per me gli OGM sono naturali, ma si tratta di un’opinione personale.
Secondo il suo punto di vista l’informazione dei mass media su questo tema è abbastanza chiara?
No, si fa una grande confusione. E’ da criticare chi ha demonizzato e marciato contro gli OGM, penso a gruppi come Greenpeace che va nei campi coltivati con le tute bianche e le maschere antigas: si tratta di azioni dimostrative che funzionano bene a livello comunicativo ma cavalcano solo delle paure; ma è da criticare anche chi ha comunicato queste tecniche, come gli scienziati e chi doveva vendere questi OGM (le aziende sementiere, per esempio) parlandone come se fossero qualcosa di assolutamente rivoluzionario, che permettesse di fare cose miracolose.
Quello che mi fa rabbia è che le leggi nate in seguito, pensate anche per tutelare giustamente il consumatore, hanno penalizzato la ricerca pubblica e hanno favorito quella privata e le multinazionali: il risultato è stato che le applicazioni utili per l’agricoltura, anche legate alla soluzione di problematiche su prodotti locali, sono completamente bloccate.
Può farci un esempio?
Certo: il fagello più temuto per le mele, pianta che riteniamo “nostra” ma che ha origini asiatiche, si chiama Venturia inaequalis è un fungo che provoca la malattia più frequente in questi frutti, la ticchiolatura che le rende commercialmente non valide. Tutte le mele, anche quelle bio, vengono quindi trattate per poter tenere sotto controllo questa malattia. Fra il 2002 e il 2003 l’Università di Bologna in collaborazione con un gruppo di studio di Zurigo, riuscì ad individuare il gene che garantiva resistenza alla ticchiolatura. Decisero di non brevettarlo e la ricerca divenne di dominio pubblico. A capo di questa scoperta tutta italiana c’era il professor Silviero Sansavini. Peccato che dall’Italia non sia mai arrivata l’autorizzazione per la sperimentazione all’aperto di questa nuove piante cisgeniche resistenti, mentre in Olanda si è proceduto, confermando le scoperte italiane: al momento stanno lavorando a mele che non si potranno ammalare, evitando l’uso di chili di antiparassitari.
Possiamo definire l’Italia come un paese libero dagli Ogm?
Assolutamente no, noi siamo completamente dipendenti dagli OGM: da noi il divieto, infatti, è solo legato alla coltivazione (anche a fini scientifici) ma non all’importazione. Sono circa 50 i chilogrammi di soia OGM procapite che ogni anno importiamo nel nostro paese, questa finisce nella filiera anche del Made in Italy: dal parmigiano passando per i prosciutti. La maggioranza dei mangimi che importiamo dall’estero sono OGM. Negli allevamenti intensivi italiani i mangimi sono praticamente tutti importati, infatti l’Italia, anche volendo, non potrebbe produrne a sufficienza.
Esistono dei dati che colleghino il consumo di prodotti OGM con danni alla salute umana?
I dati ci sono e non indicano correlazioni con danni alla salute umana. Sono più di trent’anni che consumiamo e utilizziamo in nel mondo gli OGM. Si temeva qualche anno fa che ci potessero essere problemi legati alle allergie perché quando crei un OGM, prendi un gene di un organismo e lo metti in un altro: se utilizziamo un gene preso da una pianta, per esempio, a cui io sono allergica e lo metti in un’altra, come la soia, se io consumo quest’ultima che cosa può succedere? Ma si fanno test accurati e si evita di utilizzare geni di questo tipo: nel caso accada, si segnalano in etichetta.
L’etichettatura sembra decisamente importante: ma come funziona sugli OGM?
Se fosse per me l’etichetta “Contiene OGM” dovrebbe stare anche sul parmigiano: è necessario che il consumatore sia edotto e che possa decidere autonomamente che cosa mangiare, ma il consumatore non sa, per esempio, che quasi tutto quello che viene dagli allevamenti, per esempio, è alimentato ad OGM. In Europa l’etichettatura è obbligatoria solo per gli alimenti che sono direttamente OGM, ma non vale per i prodotti secondari, i trasformati come carne, latte o uova. Per esempio se la soia o la bevanda alla soia o l’olio di soia sono tratti da OGM deve essere indicato, ma se si tratta di una fetta di carne derivata da un animale che ha mangiato OGM, allora no.
Sembrano esserci dei veri e propri partiti pro e contro OGM: hanno senso?
In realtà non molto: ogni OGM è a sé stante, ogni progetto ha aspetti che vanno valutati, non è possibile, a mio parere, essere totalmente contro o totalmente a favore. Prendiamo la vicenda del golden rice, per esempio: si tratta di un riso più nutriente creato da un ricercatore pubblico: non viene data l’autorizzazione alla coltivazione. Questo alimento è stato utilizzato da tutti come argomentazione sia per dire che gli OGM erano “buoni” sia per dire che non lo erano. Se avessi la bacchetta magica escluderei dal dibattito sia i fanatici del pro sia quelli del contro e deciderei caso per caso. Andrebbero valutati i risultati del processo, non il processo stesso. Se il prodotto è valido e passa tutti i controlli, allora lo si commercializza, come avviene in Canada per i “Novel Food”: si tratta di un approccio più laico e più dalla parte del consumatore.
Ci sono già prodotti OGM che vengono utilizzati e consumati in Italia?
Certo. La lecitina di soia viene spesso da soia OGM o alcuni enzimi che troviamo nei detersivi per lavare sono ottenuti con questa tecnologia. Anche la chimosina o rennina è un enzima ottenuto così e viene utilizzato per la cagliatura del latte: è il cosiddetto coaugulante ricombinante non di origine animale. Ma pensiamo anche all’insulina che prima si estraeva dal pancreas dei maiali, mentre ormai da decenni viene prodotta in laboratorio, senza animali. E poi ci sono tutti i “derivati”: carne, latte, uova e formaggi. Se gli animali mangiano OGM anche noi, mangiando loro, ce ne nutriamo.