No, il veganismo non è una dieta
Il veganismo è un movimento politico e filosofico che ha obiettivi rivoluzionari, non quello di “stare meglio”, va ricordato per non perdere il senso di ciò che si fa.
Succede sempre più spesso di leggere o ascoltare persone che spiegano: “Io ogni tanto mangio vegano, mi piace”. Per carità, a me che da 11 anni dirigo un sito e un mensile che si occupa di cultura e cucina vegana, può anche far piacere, se non altro perché non è l’ennesimo che osteggia questa scelta o che ne parla come fosse una delle sette piaghe d’Egitto. Però, a fermarsi un attimo a pensare, è una frase che mostra un lato molle della comunicazione sul veganismo.
Il veganismo, che ufficialmente viene nominato negli anni Quaranta del Novecento grazie ad un ex vegetariano (Donald Watson) ma che le sue radici filosofiche le affonda ben prima, nell’antica Grecia, è un movimento politico, filosofico a carattere etico, e non una scelta alimentare, una dieta. Certo che detto da noi che abbiamo un giornale che si occupa, oltre che di informazione, di ricette appare un pelo controproducente, ma poi ci arriviamo.
L’alimentazione vegana è in realtà solo una derivazione inevitabile che scaturisce dalla volontà politica e filosofica di ottenere quella che venne definita da Peter Singer nel 1976 come “liberazione animale”. Si tratta di un ragionamento che appoggia le sue basi su un altro assunto importante, anzi, imprescindibile: l’antispecismo. L’idea è che l’uomo non sia affatto al centro del mondo, bensì un animale (con caratteristiche altamente peculiari) in mezzo ad altri animali (con caratteristiche altrettanto peculiari). Da questo ne deriva che l’uomo non ha il diritto di imprigionare, seviziare, torturare e violare il corpo di altri animali per scopi che non siano legati alla pura sopravvivenza, così come farebbero una tigre o un orso con noi. Il modo principale attraverso il quale questo adesso accade è la produzione di cibo animale, compresi latte, uova e formaggi. Poi c’è l’industria della moda, quella dell’intrattenimento e, infine, la ricerca scientifica e la produzione di farmaci.
Giunti al 2024 sui gomiti con una crisi climatica che sta mostrando tutti i denti, sappiamo bene e scientificamente che donne, uomini e bambini possono vivere tranquillamente senza nutrirsi di alimenti di origine animale e senza indumenti di origine animale mentre, al momento (proprio a causa dell’antropocentrismo e degli scarsi finanziamenti alla ricerca di metodi alternativi) non ci sono sempre delle alternative alla sperimentazione animale per il progresso delle conoscenze scientifiche e per la cura delle malattie.
Insomma: una grossa fetta del modo in cui possiamo decidere politicamente di non far più parte del sistema specista, è quello di cambiare alimentazione, modo di vestire e modo di acquistare. La forza che abbiamo per le mani (nell’Occidente e nelle parti di mondo in cui l’assunto sociale nel quale di muoviamo è il capitalismo) è quello di non dare i nostri soldi a chi produce sfruttando gli animali in tutti i frangenti in cui esiste un mercato, compreso quello della moda usata che è a tutti gli effetti un mercato.
Questo però, non significa che “mangiare ogni tanto vegano” sia veganismo o comprensione del movimento, né tanto meno adesione ad esso. Mangiare vegano è la inevitabile derivazione di una scelta a tutto tondo che deve, per essere in parte efficace, partire da una consapevolezza e da una decisione di base, molto netta: non partecipare al sistema di sfruttamento animale.
Questo significa che “mangiare vegano per un mese” o “ogni tanto” sia una cosa inutile? Non del tutto ma solo se è prodromo alla volontà di comprendere perché lo stiamo facendo mettendo in primo piano l’obiettivo della liberazione animale e non quello della salute personale o della pur importantissima questione ambientale. Il veganesimo è questo: una corrente politica e filosofica, prima di tutto, un movimento di rivoluzione. Le sue basi e le azioni che da esso ne derivano, poi, hanno inevitabili e olistiche conseguenze anche sull’ambiente e sulla nostra salute perché, lo dicevo all’inizio, siano animali su un pianeta che ha regole che stiamo tentando di invertire e piegare da centinaia di anni.
Ora, venendo a noi: certo, Vegolosi.it e Vegolosi MAG (il nostro mensile digitale), parlano per il 60% di cucina, ma affiancano a questa parte “ludica” anche quella informativa che è dirimente- Certo, accogliamo tutti sul nostro magazine e sui nostri social perché vogliamo che più persone possibili, per prima cosa, vincano un pregiudizio sul mondo vegan e uno dei modi più rapidi è facendogli cucinare una Sacher vegana da far girare la testa ma, nel frattempo, spieghiamo anche perché lo facciamo e perché tutti dovremmo farlo: per gli animali.