Tessuti vegetali: ecco quali sono

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Si possono produrre tessuti da scarti di origine vegetale? Certo che sì, lo sappiamo bene. Forse quello che finora non conoscevamo è l’incredibile varietà di soluzioni a disposizione del nostro pianeta per ottenere tessuti naturali e rigorosamente eco-friendly. Vediamo quelle più diffuse e le più curiose, ma anche le tecniche che hanno incuriosito personaggi celebri come Pharrell Williams.

– Bucce di arancia
Estrarre cellulosa dagli scarti di agrumi per riutilizzarla nel settore tessile: è la scommessa, finora ampiamente vinta, della start-up “Orange Fiber“, avviata da due ragazze siciliane. Dalla buccia degli agrumi è possibile ricavare una pasta da cui si ottengono cellulosa, filato e quindi il tessuto. Su quest’ultimo, attraverso particolari nanotecnologie, si fissa l’olio essenziale degli agrumi. Questa idea parte dal fatto che durante la produzione industriale dei succhi di frutta si cestina il 60% delle arance, ossia almeno 700 mila tonnellate ogni anno. La curiosità è che questi tessuti, per la loro composizione, a contatto con la pelle di chi li indossa rilasciano vitamine A, E e C. Vestire bene per stare bene, insomma.

– Fibre di banano
In America è ormai un progetto ben solido: produrre tessuti con le fibre del banano, da cui si ricavano stoffe resistenti e assorbenti. Con le fibre più esterne si possono ottenere tessuti più ruvidi paragonabili al cotone, perfetti per le tovaglie; con quelle più interne si arriva a produrre tessuti leggeri, morbidi e pregiati, adatti per la realizzazione di kimono e di biancheria intima. I vantaggi rispetto a seta e cotone sono innegabili: questi tessuti sono più economici e hanno un impatto ambientale più tenue. Alcune aziende statunitensi usano l’abaca, ossia le tipiche fibre di banano prodotte a mano nelle Filippine, creando tessuti e tappeti spesso pregiatissimi: il paese asiatico è tra i maggiori fruitori di queste tecniche.

– Caffè
Già i nostri antenati conoscevano bene l’efficacia dei fondi di caffè nella tintura dei capi, ma questi sono perfetti anche per la creazione di abiti, dopo il riciclo. E’ stato già brevettato un giubbotto idrorepellente i cui interni sono realizzati partendo proprio dagli scarti di caffè, che inoltre catturano i cattivi odori e li eliminano automaticamente (come ben sanno le nostre nonne).

– Fibre di ortica
Sconsigliamo di toccare l’ortica, una pianta che rilascia un fluido che provoca prurito. Ma con un apposito trattamento e delle tecnologie assai particolari è possibile ottenere filati sottili, flessibili e morbidi, traspiranti al pari del lino e anche brillanti come la seta. Questa pianta è estremamente versatile: ogni sua parte o quasi ha un possibile riutilizzo specifico nel mondo della moda.

– Alghe
Anche dalle alghe è possibile ottenere una fibra resistente, traspirante e a bassa percentuale di restringimento, a prova di qualsiasi lavatrice. Minerali e sostanze attive presenti nelle alghe facilitano uno scambio tra le stesse e la pelle, fornendo anche al corpo proprietà antinfiammatorie. Da esse si ricavano soprattutto maglieria intima e calzini, abbigliamento sportivo, asciugamani e tappeti.

– Soia
In Cina è facile imbattersi in capi d’abbigliamento realizzati con fibra di soia. Già il magnate americano Henry Ford pensò che questa potesse essere utilizzata nell’industria tessile e brevettò una fibra chiamata Azlon: per la sua produzione, però, si utilizzavano sostanze altamente tossiche, e comunque il percorso presentava numerosi ostacoli. Nel 1999 Li Guanqi, industriale e scienziato autodidatta di Shanghai, mise a punto la Soybean Protein Fibre: era un tessuto morbidissimo, perfetto per biancheria intima e abiti da sera, definito addirittura “cashmere vegetale“. Dotato di proprietà antibatteriche, traspiranti, in grado di bloccare le radiazioni UV, è tre volte più resistente alla rottura rispetto alla lana. I tessuti prodotti dalla fibra di soia in rispetto totale dell’ambiente, però, sono rari: nella maggior parte dei casi vengono utilizzate sostanze chimiche che hanno un impatto – seppur limitato, il più delle volte – sul nostro ecosistema.

– Piante tintorie
Le bacche di biancospino, la corteccia di eucalipto e i fiori di ginestra da secoli vengono utilizzati per la tintura dei tessuti tramite veri e propri “bagni”: a seconda della pianta utilizzata, del periodo di raccolta e del tipo di terreno danno delle colorazioni diverse e con sfumature molto particolari.

– Canapa
Anche dalla canapa si ricava una fibra molto utilizzata nel mondo della moda. La canapa, una pianta coltivabile con tecniche a basso impatto ambientale, produce una fibra molto pregiata e resistente a calore, muffe, insetti e che non viene danneggiata dalla luce. I tessuti realizzati la canapa sono freschi e traspiranti d’estate, caldi e avvolgenti d’inverno, e avendo anche grandi doti anallergiche sono utilizzabili praticamente da chiunque e in ogni periodo dell’anno.

– Bambù
La pianta del bambù è una delle più particolari al mondo, in condizioni ideali cresce anche di un metro nel giro di una manciata di ore. I tessuti che si producono da essa hanno una spiccata capacità di ventilazione e assorbimento dell’umidità, oltre a possedere un agente antibatterico che fa in modo che non vengano usati additivi chimici durante la lavorazione. Garantisce inoltre naturali azioni antibatteriche e deodoranti.
In questo campo, possiamo anche elencare diversi tentativi di creare tessuti riciclati e naturali, prodotti nel rispetto dell’ambiente e propensi a sostenere il tema della sostenibilità.

– Bionic Yarn, la start up preferita da Pharrell Williams
Partendo da plastica riciclata si può ottenere un filato che garantisce alte prestazioni: è questa l’idea alla base di Bionic Yarn, una start-up newyorkese che ha convinto anche il producer, cantante e designer Pharrell Williams. Attualmente questa azienda collabora con grandi nomi della moda internazionale.

– Econyl, il riciclo dei rifiuti
Econyl è una fibra prodotta grazie a un processo chimico con impatto leggero per l’ambiente. Prevede la rigenerazione del nylon contenuto nelle reti da pesca, nell’abbigliamento sintetico in disuso e in vecchi tappeti. Questo materiale proviene quindi da rifiuti e non ne crea altri, derivando da un processo chimico ecologico.

– Dalla Svezia il tessuto Re:newcell
Pochi mesi fa il prestigioso Royal Institute of Technology di Stoccolma ha presentato un progetto innovativo: il primo abito realizzato al 100% a partire da fibre riciclate da materiali naturali – usati e dismessi – a base di cellulosa. Il tessuto che si ottiene è resistente tanto quanto quello d’origine.

Fonti fotografiche: tuttogreen.it, rinnovabili.it, ilpiccolodpiu.it, promiseland.it, orangefiber.it, adnkronos.it, feltingandfiberstudio.com/

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