Menu vegano a Torino, Calabrese: “Per equità, carne anche ai vegani”
Calabrese cala l’asso della provocazione e spiega: “Carne anche ai vegani, per educazione alimentare”, ma sa bene che la questione è ben diversa
Che i vegani provino almeno una volta al mese la carne, per equità. Questa la sintesi delle parole del nutrizionista Giorgio Calabrese sulle pagine del quotidiano “La Repubblica” dopo l’annuncio della giunta torinese guidata da Chiara Appendino di prevedere da Settembre, una volta al mese, un menu vegano per tutti i bambini delle mense sotto la Mole.
Di certo una provocazione da parte del nutrizionista più famoso della tv che parte dalla constatazione che, se il fine dell’iniziativa torinese è l’educazione alimentare, far provare ai bambini nuovi piatti e nuove cultura, allora questa interculturalità deve poter valere anche per chi la carne non la mangia. Calabrese, però, non è contrario all’iniziativa “fino a che è una volta al mese”.
Ma la riflessione è evidentemente fallace: come spiegato da decine di fonti autorevoli, come la FAO, la questione del consumo di carne non è di certo solo una questione culturale, ma un vero e proprio allarme globale che si sta volutamente ignorando, spesso relegando il tutto ad una “moda alimentare”. Le scelte alimentari vegane, che sono già state sdoganate e certificate nella loro salubrità non solo dalla più importante associazione di medici americana, la Academy of Nutrition and Dietetics, ma anche dal Ministero della Salute Italiano e dalla SINU, ossia la Società Italiana di Nutrizione Umana, pongono questioni di carattere etico e globale sul ruolo delle nostre scelte alimentari sull’impatto sugli animali e sul pianeta.
“Educazione alimentare” non può significare solo “provare tutto”, ma arrivati nel 2017, far capire ai bambini che mangiare una cosa piuttosto che l’altra non è la stessa cosa e che è proprio dalle nostre scelte personali che derivano i grandi, enormi problemi che il nostro mondo e la salute mondiale stanno affrontando (lo abbiamo fatto anche con la raccolta differenziata, no?). Imporre la carne a chi ha scelto, anche per motivazioni etiche, di non mangiarla sarebbe solamente una violenza e non una mossa educativa, se non altro perché di educativo nel consumare affettati e carne, oggi, non c’è proprio nulla.
Quello che andrebbe fatto, invece, ma che nessuno stranamente propone, è far capire ai ragazzi che cosa c’è dietro alla produzione di carne e derivati (come latte e formaggi): se questa è la realtà, e lo è, e se non c’è nulla di male o sbagliato in quello che accade, perché questo sistema intensivo, ossia quello che rende possibile comprare 4 cosce di pollo a 0.99 centesimi, non viene inserito, con immagini e testi didascalici precisi, nei programmi di educazione alimentare? La paura è lo shock che i ragazzi ne otterrebbero? Non è meglio, allora, andare per gradi e dare, una volta al mese, la possibilità ai ragazzi di mangiare cose normalissime come verdure, legumi e cereali? Se quel cibo rimarrà nei piatti allora il problema è a monte, in famiglia, perché è lì che parte la vera educazione alimentare.