“Casa de carne”, il cortometraggio che spiega il paradosso della carne
Quanti di noi, muniti di coltello, sarebbero in grado di uccidere un animale per mangiarlo? Probabilmente nessuno, come dimostra il cortometraggio “Casa de carne”
Quanti di noi, messi di fronte all’obbligo di uccidere con le nostre stesse mani un animale, sarebbero in grado di farlo solamente per appagare il proprio desiderio di mangiare una bistecca o un piatto di costolette? Probabilmente nessuno ed è il messaggio che vuole trasmetterci Casa de carne (qui in alto), un cortometraggio “pro-vegan” del giovane regista Dustin Brown, vincitore del primo posto e di un premio di 3mila dollari in contanti agli Tarshis Short Film Awards 2019, le premiazioni di documentari e film dedicati alla questione animale.
Il film, creato per l’associazione no profit Last Chance for Animals (LCA), mostra tre amici a cena in un ristorante di alto livello, alle prese con il menu. Per uno di loro è “la prima volta” e non sa che le costolette di maiale che vorrebbe trovare nel piatto dovrà procurarsele da solo. Dopo aver ricevuto un coltello, viene portato in una stanza bianca e asettica dove trova ad attenderlo un maiale, la sua “cena”. Esita, accarezza l’animale e lascia cadere il coltello: è ormai certo che non avrà il coraggio di compiere il gesto per cui è stato chiuso in quella stanza; a quel punto, però, intervengono due “addetti ai lavori”, abituati a trovarsi di fronte persone incapaci di togliere la vita a un animale. Saranno loro a farlo al posto dell’uomo, a cui verrà di lì a poco servita la carne dello stesso maiale che si è rifiutato di uccidere. Nel finale, vediamo il protagonista profondamente turbato: a differenza degli amici a tavola con lui, pare aver finalmente realizzato da dove provenga la carne che ha nel piatto.
Una realtà, quella mostrata nel cortometraggio, che a conti fatti non appare così strana o inverosimile: sono tanti, infatti, i ristoranti e gli hotel nel mondo che permettono ai propri ospiti di “cacciare” il proprio cibo, come accade per esempio in molti locali di Tokyo dove la clientela pesca il pesce che mangerà di lì a poco.
Carnismo, consapevolezza e false credenze
“Se i mattatoi avessero le pareti di vetro, tutti sarebbero vegetariani” recita un famoso aforisma di Lev Tolstoj, che porta alla luce una verità innegabile, la stessa messa in risalto da Casa de carne: la stragrande maggioranza di noi mangia carne con poca (o nessuna) consapevolezza, senza fare la connessione tra la fetta di arrosto nel piatto e l’animale da cui proviene. Non è un caso che il più delle volte una persona che mangia abitualmente carne inorridisca di fronte ai video che mostrano le realtà dei macelli, rifiutandosi magari anche di guardarli perché altrimenti “poi la carne non la mangio più”.
Ecco, è proprio questo il punto: come dimostra anche un video-esperimento di PETA – che ha messo di fronte due bambini alla necessità di uccidere un pollo per mangiarlo in un sandwich – sono veramente poche le persone che, messe di fronte a questa realtà, la accettano e la condividono. Secondo la psicologa americana Melanie Joy – vegana e attivista antispecista – tutti noi siamo invece vittime di quello che lei stessa definisce “carnismo“, un meccanismo psicologico del quale non siamo consapevoli, ma che condiziona totalmente le nostre scelte alimentari. La maggior parte delle persone mangia carne non per necessità o perché lo voglia davvero, ma piuttosto perché condizionata da un sistema di credenze – ormai istituzionalizzate e considerate come “la normalità” – che opera al di fuori della nostra consapevolezza e senza il nostro consenso.
Secondo la psicologa, inoltre, nella nostra mente esiste una sorta di “sapere senza sapere“: una parte recondita della nostra mente ha chiaro che la bistecca che abbiamo nel piatto sia la parte del corpo di un animale morto per essere mangiato, ma allo stesso tempo questa consapevolezza è latente e non siamo in grado di associare quel pezzo di carne all’animale in vita, alla sua morte e alla sofferenza vissuta all’interno di un allevamento.