L’industria della carne USA combatte contro la “falsa carne”: “È un bene”
L’associazione dei mandriani e degli allevatori apre il dizionario e punta il dito sulle definizione di “carne”, ma le aziende che producono proteine vegetali sorridono “Ci farà più bene che male” questo dettaglio.
Leggi sui nomi, leggi sulle etichette: si corre ai ripari affinché il pubblico non confonda carne di animale e “carne” vegetale o, peggio ancora, carne in vitro. Ricorda moltissimo la polemica italiana sul latte vegetale (conclusasi con una sentenza della Corte Europea) quella che sta prendendo forma negli Stati Uniti fra associazioni di mandriani, allevatori e lavoratori del settore carne e le aziende che lavorano su prodotti proteici vegetali e quelli che stanno lavorando alla possibilità di generare carne in vitro (senza allevamenti).
“Non è carne se non è un animale allevato”
La USCA (associazione che riunisce negli USA moltissimi produttori e lavoratori del settore carne) ha iniziato da una petizione che chiede con fermezza al Department of Agriculture, Food Safety and Inspection Service americano (FSIS) di prevedere regole chiare per le etichettature e le definizioni del prodotto chiamato “carne”. Secondo la USCA il problema è solo quello di informare meglio e chiaramente i cittadini ed arrivano a citare nella loro petizione numerose definizioni della parola “carne” tratte da dizionario: come mai? Per mostrare come quella in laboratorio o quella a base vegetale non possa esser chiamata così. “La carne è solo quella che arriva dagli animali e che viene allevata con metodi tradizionali”: già la tradizione.
A preoccupare pare essere soprattutto il settore della carne in vitro sulla qualche stanno puntando sempre più investitori e sulla quale alcune previsioni di commerciabilità parlano di un’attesa di al massimo tre o quattro anni.
“Se hanno paura è un bene”
Secondo alcuni dati riportati da HealthFocus, agenzia che si occupa di ricerche di marketing negli Stati Uniti, il 60% della popolazione ha deciso di diminuire il consumo di proteine di origine animale a questo dato va aggiunto il 17% che sostiene di consumare prevalentemente proteine vegetali. Fra gli intervistati, il 55%, sostiene che si tratti di un cambiamenti di abitudini dalle quali non torneranno indietro, mentre il 22% si augura di riuscire a mantenere questo stile di vita.
Questi dati lasciano ben sperare che la maggiore offerta di prodotti, sempre più gustosi e facili da trovare in commercio, stiano aiutando gli USA a cambiare strada, così come sta succedendo anche nel nostro paese.
Nel frattempo le aziende che stanno lavorando alle alternative sono in realtà quasi contente di questi attacchi mediati: Ethan Brown, fondatore di Beyond Meat,ha dichiarato a USA Today che questa petizione non è necessariamente una brutta notizia, anzi: “Credo che possa favorirci più che danneggiarci – ha spiegato – perché porterà all’attenzione del dibattito generale la definizione di che cosa sia realmente la carne e punterà l’attenzione sui consumatori: gli interessa capire da dove arriva quel prodotto?”.
Il punto che solleva Brown non è banale: siamo certi che i consumatori avranno piacere a leggere bene in evidenza sulle etichette che cosa in realtà sia quella bistecca che stanno per acquistare? Oppure, a fronte di alternative valide e facilmente reperibili, metteranno un freno ai consumi anche sulla base delle sempre maggiori informazioni che constatano i legami fra carne processata e rossa e pericoli seri per la salute umana?