Le acque di scarico: da problema a risorsa. La scoperta dei ricercatori
Le acque di scarico sono una delle principali fonti di inquinamento ma un team di ricerca di Stanford svela che al loro interno potrebbe nascondersi la vera svolta per il futuro
L’ultimo rapporto della FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations) sulle risorse idriche e del suolo traccia un quadro allarmante, in un mondo nel quale una persona su quattro, la maggior parte delle quali risiede in aree colpite dalla povertà, non ha accesso all’acqua potabile.
Per questo motivo gli scienziati sono costantemente alla ricerca di metodi innovativi per la purificazione delle acque reflue, così da renderle utilizzabili per l’essere umano riducendo gli sprechi.
Come si purificano ora le acque?
La filtrazione denominata “anaerobica”, che richiede l’utilizzo di pochissima energia per convertire l’acqua di scarico in acqua potabile, sembra essere considerata ad oggi la metodologia più efficace: il processo depurativo per questo tipo di trattamento naturale delle acque reflue avviene tramite l’azione di colonie batteriche che si sviluppano sotto forma di pellicole su supporti idonei chiamati “campi di riempimento”. Il problema però è che sebbene l’acqua venga purificata, i microbi anaerobici demoliscono la sostanza organica creando composti organici idrogenati come i solfuri, sostanze tossiche per l’uomo e per l’ambiente oltre che maleodoranti.
The Centers for Disease Control and Prevention infatti ha confermato che l’inalazione dell’idrogeno solforato per le persone particolarmente esposte, come gli addetti ai lavori negli impianti di depurazione, può causare difficoltà respiratorie, tremori, irritazioni agli occhi e alla pelle, perdita di coscienza e, se ad alte concentrazioni, a sintomatologie molto più gravi.
Da scarto a risorsa
Proprio a partire da queste problematiche, un team di ricercatori dell’Università di Stanford, in California, ha spiegato in un articolo pubblicato sulla rivista ES&T Engineering, di aver scoperto che negli scarti della filtrazione anaerobica si nasconde qualcosa di estremamente prezioso. Il team ha sviluppato un modo affascinante per trasformare le acque reflue a base di solfuri tossici in composti sicuri e un modo per utilizzare gli scarti di questo processo in risorse di grande valore per le tecnologie agricole e per la produzione industriale.
Di solito infatti, gli scienziati affrontano il problema dei solfuri utilizzando alcune sostanze chimiche che separano i derivati dello zolfo in componenti non tossici. Ma questo procedimento spesso corrode i tubi del sistema di purificazione andando a inficiare il processo di estrazione di acqua pulita.
Il team di Stanford invece intende occuparsi dei solfuri, ossia degli scarti che derivano dalla depurazione, ricorrendo all’elettro ossidazione dello zolfo. Xiaohan Shao, una dottoranda in ingegneria civile e ambientale presso la Stanford University e tra i principali autori dello studio, ha affermato che: “Il processo su cui sto lavorando è convertire elettrochimicamente i solfuri nelle acque reflue in qualcosa di più prezioso, ad esempio acido solforico, che può tornare utile in diversi processi di produzione, o ancora fertilizzanti che si possono sfruttare per l’agricoltura, andando a ridurre il consumo di materie prime, in via di esaurimento”.
Una speranza per aumentare le risorse idriche
Sostanzialmente, questo sistema elettrochimico offrirebbe ai ricercatori la possibilità di trasformare i solfuri tossici in altri derivati dello zolfo, andando così ad eliminare ogni residuo dannoso derivato dalla filtrazione anaerobica. Inoltre questa procedura richiederebbe così poca energia da poter essere interamente alimentata da fonti rinnovabili al fine di applicarla agli impianti fognari di intere città, riducendo ulteriormente il divario tra acque reflue e acque potabili: “Speriamo che questo studio contribuisca ad accelerare l’adozione di nuove tecnologie per mitigare l’inquinamento, andando così non solo a recuperare risorse preziose ma a anche a creare nuova acqua potabile”.