Il leone caccia la gazzella, ma l’uomo… Il parere dell’etologo
Se il leone mangia la gazzella allora il cacciatore ha diritto a sparare al fagiano, oper seguire la legge di natura! Ma è davvero così?
Si tratta di una frase abbastanza comune: “Ma il leone caccia la gazzella per mangiare, la uccide, quindi perché noi non dovremmo mangiare la carne o cacciare?” ma la risposta non è così “semplice” e per poterla davvero trattare al meglio la riflessione di un etologo-filosofo è certamente la cosa migliore. Roberto Marchesini, esponente del pensiero anti specista italiano ed autore di numerose pubblicazioni, docente universitario e conferenziere, ha deciso di dedicare all’argomento un articolo intero sul suo blog, “Marchesini etologia”.
Prima di tutto, la posizione di Marchesini è chiara: l’uomo non ha diritto di mangiare la carne o cacciare nella nostra contemporaneità, sicuramente ancora meno se la sua azione viene “giustificata” dall’idea della “predazione naturale”. Marchesini, prima, spiega la nostra reazione davanti alle scene di predazione: “Talvolta la predazione può essere agghiacciante […]L’uccisione dei neonati, per esempio, ci trasmette un senso di repulsione ancora più forte: per esempio la strage delle giovani tartarughe che tentano di raggiungere il mare a opera dei gabbiani o lo strappare un cucciolo dal genitore per divorarlo, come succede di frequente nella quotidianità della savana” ma perché abbiamo questa reazione? L’etologo lo spiega con l’immedesimazione: soffriamo perché ci immedesimiamo in quella scena, con grade probabilità, nella vittima.
Torniamo alla gazzella che scappa e al leone che la insegue: quello che Marchesini spiega è che entrambi potranno provocare dolore all’altro: “Non vi è certezza su chi farà soffrire l’altro: la gazzella potrà soffrire e morire perché raggiunta dal ghepardo, come, per contro, il ghepardo potrà soffrire perché, non raggiungendola, morirà di fame. Il ghepardo, cioè, non può scegliere e la gazzella, non facendosi raggiungere, compirà su di lui un atto di violenza, condannandolo a morire di fame o far morire i cuccioli a cui mamma ghepardo avrebbe portato la preda.” Il punto è chiaro: la scelta. Gli uomini, nel 2017 (ma anche da parecchi anni indietro, le prime riflessioni sul tema del vegetarismo appaiono con Pitagora e continuano con Plutarco) possono scegliere che cosa mangiare e in che modo le loro “azioni alimentari”, amplificate dalla sempre crescente quantità di popolazione sul pianeta, impatteranno sugli animali, sull’ambiente e, ancora prima, sull’industria.
“L’uomo non è un predatore, ma una preda – continua Marchesini – utilizza degli strumenti per uccidere gli altri animali e in realtà raccoglie le prede morte come se fossero bacche, funghi, radici, larve o uova. La caccia è una violazione perché non esiste un doppio flusso nel rapporto con le sue eventuali prede, come accade nel caso del ghepardo. Mentre la gazzella può far soffrire e morire il ghepardo, il fagiano non ha alcuna possibilità di interagire col cacciatore. Tra l’uomo e gli animali che uccide quindi c’è un rapporto impari che mi fa affermare che non c’è nessuna legge di natura che possa giustificare tale sofferenze.”
Lo stesso etologo ammette però una fallacia nel discorso: “Questo ragionamento è indirizzato prevalentemente a chi vuole giustificare la caccia attraverso il ricorso all’analogia naturalistica del “come il ghepardo caccia la gazzella così l’uomo è autorizzato a cacciare”, l’essere umano ha acquisito culturalmente il suo stile venatorio che pertanto va inquadrato e discusso all’interno di una cornice antropologica e non meramente biologica”. Insomma, se è vero che l’uomo è diventato cacciatore utilizzando strumenti grazie alla sua intelligenza, nell’ottica di un maggior risultato con meno sforzo e pericolo, è altrettanto vero che a maggior ragione oggi non esiste una sola legge di natura che spieghi la caccia, diventata attività di svago ai danni di centinaia di migliaia di animali, vittime predestinate e senza scampo, nonché attività spesso pericolosa per l’ecosistema a causa della rottura di equilibri che hanno portato nel tempo al rischio di estinzione di molte specie (pensiamo ai lupi nel nostro paese, che dovettero essere tutelati per legge negli anni ’70 per evitare che scomparissero per sempre dai nostri territori).