Jane Goodall: ecco cosa ci rende umani
La vita, la passione e le idee dell’etologa inglese Jane Goodall nel film-documentario “Human”: cinque minuti nei quali la studiosa racconta cosa secondo lei ci rende umani.
Il rapporto personale con la natura e con gli animali, il problema della limitatezza delle risorse del Pianeta, la necessità di lottare contro la povertà e, contemporaneamente, rivedere molti aspetti del nostri stile di vita. C’è molto di Jane Goodall nei cinque minuti di intervista che la studiosa ha rilasciato per il film Human, di Yann Arthus-Bertand. Una vita intera dedicata alla ricerca, quella dell’etologa e antropologa britannica, che ne fatto una delle più grandi esperte al mondo sui primati, spesa a favore della tutela dell’ambiente, della biodiversità e delle specie animali in via di estinzione. La Goodall ha parlato in più occasioni anche della sua scelta a favore dell’alimentazione vegetariana e del trend che vede crescere a livello internazionale il numero di coloro che optano per una dieta priva di alimenti di origine animale. Una scelta definita non a caso dallo studiosa “meravigliosa”.
Il perché lo si può dedurre facilmente proprio dal contributo che Goodall ha concesso per il documentario di Bertrand che, attraverso una serie di interviste a centinaia di persone dei più svariati Paesi del mondo, ha come obiettivo raccontare che cosa ci rende “umani”.“La cosa che più di ogni altra vorrei cambiare, che è anche la più difficile, è lo stile di vita insostenibile che conduciamo. Siamo avidi”, dice Jane Goodall davanti all’obiettivo della telecamera. “Penso sempre a quello che diceva Gandhi: ‘Il Pianeta può provvedere ai bisogni dell’uomo, ma non alla sua avidità’. Ed è verissimo”. Nella breve ma intensa intervista l’etologa racconta del suo rapporto con gli animali e, in modo particolare con i cani: “Sono davvero felice quando passeggio con i cani. I cani mi rendono felice perché con loro puoi essere davvero te stesso. Quando ero bambina – spiega – il mio più grande maestro è stato un cane, che mi ha insegnato che noi uomini facciamo parte del regno animale, che non siamo gli unici esseri con una personalità e una mente in grado di ragionare e, certamente, non siamo gli unici esseri viventi in grado di provare emozioni come felicità, paura, tristezza. E non siamo gli unici a essere capaci di dare e ricevere amore”.
La studiosa parla poi dell’impegno a favore dell’ambiente: “Il più grande problema che abbiamo da attivisti è combattere il potere del denaro. Non c’è alcun dubbio: quando parlo con loro, le persone che governano i Paesi sono completamente d’accordo con me sul fatto che la tal miniera non dovrebbe essere portata avanti o la tal diga costruita o sul fatto che alla Monsanto non dovrebbe essere permesso di sperimentare i suoi semi. Ma – dice ancora Jane Goodall – è la forza del denaro, sono le aziende che tengono i governi stretti nelle loro mani a causa del potere delle lobby. E questo è davvero spaventoso”.
Come agli altri intervistati anche alla ricercatrice inglese viene chiesto che cosa le piacerebbe cambiare: “Senza che questo possa essere causa di sofferenze a nessuno, vorrei ridurre il numero di persone sul Pianeta perché siamo troppi. Il nostro Pianeta ha risorse limitate, noi le stiamo esaurendo e ciò comporterà molte sofferenze in futuro. Mi piacerebbe anche alleviare la povertà perché quando sei povero distruggi l’ambiente per sopravvivere, perché devi farlo, devi tagliare gli alberi per ricavare un po’ di cibo per la tua famiglia o devi comprare cibo di bassa qualità, anche se è cibo ottenuto provocando grandissime sofferenze agli animali o facendo lavorare i bambini come schiavi”.
“Ho 80 anni. Il mio lavoro – dice ancora Goodall – è dare speranza. Ho imparato da mia madre quanto è importante essere supportati e sostenuti. Lei ha sempre sostenuto il mio amore per gli animali. Quando tutti mi deridevano perché da bambina dicevo che volevo andare in Africa lei mi disse che se volevo veramente qualcosa dovevo essere pronta a lavorare duro per ottenerlo, cogliere le opportunità e non arrendermi”.
Silvia De Bernardin