I ristoratori non sono tenuti ad avere opzioni vegan ma… siamo nel 2023

La vicenda pugliese di un ristoratore che ha rifiutato la prenotazione di clienti vegani dovrebbe aprire un dibattito

Una giovane content creator ha mostrato sui suoi social il rifiuto telefonico di un ristoratore pugliese ad accogliere nel suo locale avventori vegani. Il suo “No, lasciate stare, non venite” ha acceso il dibattito estivo. In alcuni articoli pubblicati su siti e giornali vicini al mondo della ristorazione, si legge una considerazione interessante: un locale privato non è tenuto a dover avere nel suo menu delle opzioni vegane o, in ogni caso, adatte a scelte diverse o a situazioni particolari, come la celiachia o allergie alimentari.

La riflessione non è priva di senso, anzi: i ristoranti sono esercizi commerciali privati e come tali sono liberi di decidere che cosa servire al pubblico. Attraverso il menu i clienti (potenziali) possono scegliere che cosa consumare e se i piatti presentati sono adatti o meno al loro gusto o alle loro scelte alimentari. Il caso pugliese è certamente un po’ particolare perché dall’audio della telefonata è evidente che il ristoratore non aveva tempo o voglia o le competenze (o tutte e tre le cose insieme) per fermarsi a ragionare se il suo locale fosse pronto ad accogliere otto clienti vegani; pur avendo piatti che per tradizione dovrebbero essere 100% vegetali (per esempio fave e cicoria), la richiesta di ulteriori informazioni sulle ricette (magari trattati con burro o altri ingredienti di origine animale) è altrettanto lecita da parte dei clienti: sta al commerciante saper o aver voglia di rispondere. La premessa quindi è solida: come chi è vegano è libero nella propria scelta, così è libero chi apre le porte del suo locale al pubblico di decidere il menu.

Quello che non è stato analizzato in questo mini polverone estivo (che non ha ragione d’essere, in verità, dato che è più normale di quanto si creda non trovare nulla di vegan in un ristorante o in occasioni sociali come banchetti, matrimoni, etc.) sono il contesto e le ragioni di questa situazione. Il problema alla base di quello che è accaduto in Puglia è uno solo: il pregiudizio culturale che gravita attorno all’alimentazione 100% vegetale e l’immobilità del settore della ristorazione italiano in merito a tali opzioni nei menu.

Tagliatelle al pesto di rosmarino e mandorle con dadolata di peperoni

Un piatto di tagliatelle di semola con crema di mandorle e peperoni: un’opzione vegan facilissima, adatta a tutti

Il pregiudizio nasce dall’ignoranza sul che cosa sia davvero la cucina vegana. Una sorta di timore, infatti, aleggia attorno all’idea di avere in menu dei piatti che propongano (adatte a tutti, si badi bene) ricette in cui non si utilizzino ingredienti di origine animale. E, fermi tutti, non stiamo parlando di tofu, seitan, tempeh, lievito alimentare o ingredienti considerati (erroneamente) “strani” (non sembra fare lo stesso effetto la carne di coccodrillo, per dire) bensì, per esempio, di un risotto mantecato con una crema di frutta secca al posto del burro, di una pasta fresca di semola con verdure di stagione condita con un olio come si deve, di polpette o stufati di legumi (caldi o freddi), di dolci realizzati con olio o margarine, facilissimi e per nulla più costosi in termini di materie prime di altri dolci. Tecnicamente un ristorante (così come anche una pizzeria) hanno già in cucina gli ingredienti per poter proporre nel menu piatti di questo tipo senza stravolgere più di tanto la loro lista della spesa. E stiamo ragionando in un mondo in cui la ristorazione non è innovazione, ricerca, curiosità e inclusività: eppure dovrebbe proprio esserlo a pensarci bene, o no? Andrebbe spiegato ai ristoratori che la cucina vegana ha un super potere che non conoscono: è adatta a tutti e potrebbe persino essere “celata” se non si vuole segnalare che quel piatto è vegano. Basterà mettere gli ingredienti nel menu o informare i camerieri. Molto diverso, e lo abbiamo anche già spiegato, il tema delle contaminazioni alimentari per chi è allergico o intollerante. Certo, segnalare che si hanno opzioni vegan potrebbe portare più clientela ma vaglielo a spiegare.

Nel 2023 la ristorazione non dovrebbe essere ancorata alle basi degli anni ’60, potrebbe davvero guardarsi allo specchio e capire che è ora di dismettere i panni della tradizione cieca e aggiornarsi, anche solo un pochino, senza togliere niente a nessuno, bensì esattamente il contrario.

Il problema da dove nasce? Dallo stigma sociale ancora enorme che è presente intorno all’alimentazione vegana. Non è possibile dire che in Italia dichiarare in un ristorante di essere vegani sia una cosa senza conseguenze sociali e pratiche. Questo perché il sistema dell’informazione nel nostro paese prende questa filosofia alimentare e la mette alla berlina costantemente, non solo veicolando messaggi proprio sbagliati (come il fatto che sia pericolosa, poco salubre o che provocherebbe squilibri di vario tipo nel metabolismo) ma anche continuando a mostrare l’alimentazione vegetale come riduttiva, quasi punitiva, e priva del “vero godimento” che una bella cena o un buon pranzo dovrebbero darci. Così come, invece, di continuano a proporre sempre e solo modelli alimentari onnivori senza lasciare uno spazio decente al resto.

Fino a che questo non cambierà culturalmente, scene come quella mostrata dalla content creator in un breve video non dovrebbero nemmeno fare notizia dato che rimarranno la normalità.

 

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