Hilda: la vitella che inquinerebbe meno grazie alla selezione genetica

Il gruppo di ricerca scozzese lavora da anni al progetto ma la questione vera è un’altra

Partiamo dal presupposto che moltissimi titoli di giornali su questa notizia hanno commesso un errore. Hilda, una vitellina nata in Scozia all’interno di un allevamento che da anni è anche centro di ricerca sul tema degli allevamenti, non è stata geneticamente modificata. La sua nascita è solo il frutto di una selezione genetica, procedimento utilizzato da anni per incrociare e “migliorare” le specie sfruttate dall’uomo per il commercio (succede anche con le razze di cani, per intenderci).

Hilda fa parte di un progetto di ricerca, dicevamo. L’allevamento di Dunghill è nato agli inizi degli anni Settanta e si trova a Dumfires, una contea della Scozia sud-occidentale all’interno dell’allevamento reale di Crichton. L’obiettivo di questo centro di ricerca è sempre stato quello di studiare un modo (o più modi) per rendere più efficiente la produzione soprattutto del latte. Hilda non è quindi una vitella stile Dolly, bensì l’ennesimo animale fatto nascere per capire se e come può essere più efficiente e in questo caso meno inquinante mentre produce latte e partorisce altri vitelli.

Ma perché meno inquinante? La questione è legata alle emissioni di metano da parte dei bovini sia tramite i peti che tramite le eruttazioni, risultati entrambi dei complessi processi digestivi di questi animali. Il loro stomaco, infatti, ha la capacità di digerire la cellulosa e lo fa attraverso un sistema di microganismi che producono idrogeno che poi viene sfruttato da altri microrganismi (gli archei) che producono metano. Ed è qui il problema. Il metano arriva principalmente dalle fermentazioni enteriche ossia, prosaicamente, dai rutti dei bovini. Secondo la FAO nel 2015 gli allevamenti hanno contribuito per il 12% alle emissioni globali di gas serra, come spiega benissimo il divulgatore scientifico Ruggero Rollini in un video sul tema. Se gli allevamenti fossero un paese sarebbe il secondo per emissioni globali, dopo la Cina. I rutti dei bovini contribuiscono al 4,3% delle emissioni globali di gas serra.

Quindi, se il lavoro scientifico di ricerca svolto presso Dunghill (che si occupa anche di indagare molti altri aspetti, compreso cosa far mangiare alle mucche per affinché la produzione di latte sia migliore) è certamente un tassello, così come lo sono gli studi che prevederebbero l’uso di alghe nei mangimi sempre con lo scopo di far diminuire le emissioni, il vero e unico problema sta nella richiesta di latte e carne mondiale. Sono le scelte alimentari (dell’Occidente ricco per prima cosa) a dover cambiare. Senza questa inversione culturale, la strada è davvero difficile, per noi e per le mucche.

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