Harambe: un anno fa moriva (incolpevole) il gorilla dello zoo di Cincinnati
Il 28 maggio 2016 il gorilla Harambe è stato ucciso nella sua gabbia dello zoo di Cincinnati. Cosa è cambiato dopo un anno?
Il 28 maggio dell’anno scorso moriva Harambe, gorilla rinchiuso nello zoo di Cincinnati (Ohio), ucciso con un colpo di fucile a per proteggere un bambino di 4 anni accidentalmente caduto nella sua gabbia. Harambe è morto, certo, ma non la sua memoria. Immediata la reazione da ogni parte del mondo e a lungo si è dibattuto tra chi difendeva l’operato dei guardiani dello zoo e chi, invece, accusava i genitori del piccolo per avergli permesso di arrampicarsi sulla recinzione. Le autorità, all’epoca, avevano infatti accertato che la madre fosse con il bimbo al momento dell’incidente: nessuna conseguenza per il bambino, ma i genitori sono finiti immediatamente al centro di un’indagine della polizia locale.
Harambe: la situazione un anno dopo
Tra dibattiti e discussioni, nonostante sia passato un anno, di Harambe e della sua tragica fine si continua a parlare. I genitori del bambino sono stati assolti dalle accuse di negligenza anche se la madre, dopo essere stata individuata, è stata oggetto di pesanti accuse e intimidazioni sul web, come riportano i media americani. A quanto pare, il prossimo giugno, lo Zoo di Cincinnati riaprirà al pubblico la mostra dei gorilla, a pochi giorni di distanza dall’anniversario della morte di Harambe. Verrà inaugurata una nuova area protetta, coperta e resa più sicura da barriere più alte, che includono travi di legno e reti di corda annodata. Di nuovo accessibile anche la pagina internet dello Zoo, dopo che la bufera mediatica lo aveva investito e costretto a chiuderla temporaneamente. Intanto la domanda è sempre la stessa: nel 2017 è ancora possibile e lecito spettacolarizzare la vita?
Che cosa è successo quel giorno?
Harambe, maschio 17enne di gorilla, è arrivato nello Zoo di Cincinnati nel 2015, dopo essere nato in cattività e rimasto rinchiuso per tutta la sua vita nel Gladys Porter Zoo, in Texas. L’obiettivo era renderlo protagonista di un programma di ripopolamento essendo, la sua, una specie a rischio estinzione. Nel frattempo, però, Harambe viveva in una gabbia insieme ad altri esemplari, in una struttura che conta più di 6 milioni di visitatori l’anno. Proprio tra questi, il 20 maggio 2016, c’erano anche i coniugi Dickerson con i loro quattro bambini. Una distrazione, una svista, giusto il tempo di voltarsi dall’altro lato e il più piccolo di questi si arrampica velocissimo sulla gabbia dei gorilla, precipitando al suo interno. Sono attimi concitati, di puro terrore, e nessuno pare accorgersi che il gorilla maschio – Harambe, appunto – si avvicina al bambino incuriosito, ma assolutamente tranquillo. A dirlo, dopo aver visionato le immagini dell’accaduto circolate in rete, è l’etologo Roberto Marchesini ai nostri microfoni: “Quello che si vede è certamente un comportamento esplorativo, di curiosità da parte dell’animale nei confronti del piccolo, ma anche un atteggiamento che possiamo leggere come protettivo. Nei primati, come in molti altri animali, il comportamento protettivo nei confronti dei cuccioli scavalca la specie e l’animale riconosce un piccolo indipendentemente dal fatto che sia o meno della sua specie”. Harambe, però, afferra il bimbo per una gamba, trascinandolo velocemente nel perimetro della gabbia. “Il trascinare è l’atteggiamento che i gorilla hanno nei confronti dei loro cuccioli – continua Marchesini – non ha fatto niente di anormale”.
Si poteva agire diversamente?
Niente sedativi per Harambe, solo un colpo di fucile che lo ha finito all’istante. Tanti, nel mondo, si sono chiesti se fosse davvero necessario ucciderlo. La direzione del Cincinnati Zoo ha risposto immediatamente online con un post su Facebook: “Abbiamo subito cercato di richiamare i gorilla per attirare la loro attenzione, le due femmine hanno risposto allontanandosi dalla gabbia, ma Harambe no. Non potevamo usare i sedativi perché spesso colpire un gorilla con una dardo del genere può causare una reazione violenta e questo non potevamo permetterlo, la vita del bambino era a rischio, le cose potevano degenerare”. Non tutti, però, sono dello stesso avviso: “Si doveva agire in modo diverso – continua Roberto Marchesini – ma mancavano le basi. Mancavano le persone, a quanto sembra dalle cronache, in grado di interfacciarsi con questo animale nato in cattività. Inoltre non era assolutamente detto che la puntura del dardo da sedativo lo avrebbe agitato ancora di più, tutto dipende dall’individuo, da come il gorilla era stato cresciuto, per questo ci voleva qualcuno che lo conoscesse bene, che sapesse come gestirlo”. Harambe, infatti, si trovava nello Zoo di Cincinnati da meno di un anno e forse il suo carattere non era ancora stato studiato a dovere dai gestori della struttura. Anche Terry Maple, esperta di psicologia degli animali in cattività ed ex responsabile dello zoo di Atlanta, ritiene che “quello nel video sembra un comportamento assolutamente normale, perché a volte quando i maschi “rapiscono” i loro piccoli, li afferrano per le caviglie o per le mani e girano in tondo con loro”. Nonostante questo, però, Maple ritiene sia stata presa la giusta, seppur tragica e sofferta, decisione di abbattere l’animale.