In Italia si potrà riciclare sempre meno e la colpa è della burocrazia
Una norma contenuta nel decreto Sblocca-Cantieri rischia di far saltare tutto il sistema dell’economia circolare italiana riportando nelle discariche milioni di tonnellate di rifiuti che potrebbero, invece, essere riciclati e rimessi virtuosamente sul mercato
Un pasticcio che rischia di imballare l’economia italiana del riciclo e di rimandare in discarica rifiuti che fino a ieri venivano trattati e trasformati in nuove materie prime. La burocrazia ha reso, di fatto, inutilizzabili pneumatici, componenti elettroniche e pannelli solari, confezioni di tetrapak, televisori, pannolini e oli vegetali esausti, che lo sviluppo tecnologico aveva permesso negli ultimi anni di rimettere virtuosamente sul mercato. La colpa è dell’emendamento sul cosiddetto “end of waste” all’interno del decreto Sblocca-Cantieri. Una norma che avrà come primo effetto un aumento considerevole della quota di rifiuti che, non più riciclabili, finiranno in inceneritori e discariche. Con buona pace della raccolta differenziata casalinga fatta dai cittadini.
Cosa prevede la norma
Quella sulla regolamentazione dell’end of waste, ovvero delle procedure che permettono di trasformare un rifiuto in una materia prima seconda da rimettere nei cicli produttivi, è una storia lunga, fatta di incertezze normative. Dalla fine degli anni Novanta a oggi, l’autorizzazione agli impianti che trasformano i rifiuti è avvenuta o per via semplificata, sulla base del rispetto da parte dell’impianto di quanto stabilito per i singoli rifiuti da un decreto del 1998, il DM 5/2/1998, o attraverso un’autorizzazione ordinaria rilasciata “caso per caso” dalle Regioni. Poi, l’inghippo.
“Il problema nasce da una sentenza della Consiglio di Stato del febbraio 2018 che ha di fatto bloccato le autorizzazioni rilasciate caso per caso sull’end of waste da Regioni e Province negli ultimi anni riportando la responsabilità in capo allo Stato”, spiega Andrea Fluttero, presidente di Fise Unicircular, Unione Imprese Economia Circolare. “A fronte di questa sentenza, dopo un anno di dibattito e confronto, con lo Sblocca-Cantieri è arrivato il chiarimento normativo: d’ora in poi, le Regioni non avranno competenza sui criteri caso per caso che definiscono come un rifiuto smette di essere tale. Nel rilascio delle autorizzazioni ordinarie, cioè, non saranno dotate della flessibilità necessaria per discostarsi dalle norme generali per il recupero presenti nel Decreto del 98”. Peccato che, appunto, quel decreto risalga a 21 anni fa e non contempli le procedure più innovative e le nuove materie prime che, grazie allo sviluppo della tecnologia, è oggi possibile ottenere dai rifiuti.
Ovvero, se negli ultimi 20 anni è stata trovata la tecnologia per ridare nuova vita a un rifiuto, ma quella tecnologia non è contemplata nel decreto del 98, semplicemente oggi quel rifiuto non può più essere trattato e trasformato e finirà in discarica o bruciato in un termovalorizzatore. A meno che, non intervenga il Ministero dell’Ambiente con un decreto ministeriale ad hoc.
Le conseguenze
“Non solo la montagna ha partorito un topolino, ma le conseguenze di quanto previsto dallo Sblocca-Cantieri rischiano di essere gravissime”, evidenzia Fluttero. “Le Regioni non potranno più autorizzare nuovi impianti ed è impensabile che la stesura e l’approvazione di singoli decreti ministeriali riescano a star dietro allo sviluppo tecnologico e alla varietà di rifiuti trattabili. Ma anche gli impianti già in funzione rischiano: quelli con autorizzazioni a scadenza non vedranno rinnovarsele ed è possibile che le Regioni applichino il meccanismo di autotutela, ovvero che blocchino anche gli impianti già in funzione perché non più conformi alle nuove indicazioni di legge. In termini ambientali – sottolinea il presidente di Fise Unicircular – vuol dire che ci sarà una riduzione della produzione di materie prime seconde: i rifiuti che non potranno essere trattati andranno inevitabilmente a incrementare la quota di rifiuti da discarica e inceneritore”. Poi, ci sono gli effetti economici, con decine di impianti a rischio chiusura e milioni di investimenti in tecnologia tutta italiana destinati a finire all’estero. “Si è creato un tappo che rischia di vanificare quanto di buono si è fatto negli ultimi 20 anni nell’ambito del riciclo mettendo a rischio tutto il sistema dell’economia circolare”.
I numeri del riciclo in Italia
Secondo i dati dell’ultimo report di Unicircular, “L’Italia del Riciclo”, il sistema ha infatti registrato, finora, un andamento positivo: nel 2018 il riciclo dei rifiuti urbani ha registrato il 44% (+2% rispetto al 2016). Anche il riciclo dei rifiuti da imballaggio è cresciuto (8,8 milioni di tonnellate nel 2017, +3,7% rispetto al 2016), raggiungendo il 67,5% sull’immesso al consumo e superando anzitempo l’obiettivo del 65% che la nuova direttiva indica al 2025. Decisamente positive sono state anche le performance di riciclo delle singole filiere dei rifiuti d’imballaggio: carta (+3,6%), plastica (+5,1%), vetro (+4,8%), legno (+3,4%), acciaio (+0,3%). Gli indici sono positivi anche per il riciclo degli oli minerali usati, che ha raggiunto il 45% dell’immesso a consumo, e degli oli vegetali esausti, che ha toccato le 70mila tonnellate (+8% rispetto al 2016). In crescita anche il riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione, con un tasso di recupero di materia al 76%. Numeri che vanno di pari passo con l’aumento di sensibilità dei cittadini, sempre più attenti alla raccolta differenziata a monte dei processi di riciclo, attestatasi nel 2018 al 55,5%, con un +3,2% per quanto riguarda la frazione organica e un +5% per i rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, i cosiddetti RAEE. Impegno, quello dei cittadini, che le nuove indicazioni di legge rischiano di vanificare, se i rifiuti differenziati non potranno essere adeguatamente riciclati.
Lo scenario
Ma cosa c’è a monte di un provvedimento che, anche di fronte alle immagini di questi giorni di una Roma invasa dai rifiuti, sembra paradossale? “Purtroppo – spiega Fluttero – si scontrano due visione ideali e politiche diverse, da una parte quella di chi spinge sul riciclo come leva per un’economia più sostenibile e quella di chi, comunque, continua e preferire le discariche per il timore che la trasformazione dei rifiuti possa portare, per incompetenza o collusione, a immettere sul mercato materie prime seconde pericolose per la salute. Da parte nostra – conclude – siamo molto preoccupati: serviva un’accelerazione e invece continuiamo a viaggiare col freno a mano tirato. Le aziende innovative investiranno all’estero, molte imprese rischiano la chiusura e interi flussi di rifiuti, anziché essere riciclati, finiranno in discarica o a incenerimento”.