Il paradosso della carne: amare gli animali e mangiarli
Nessuno accetta la violenza sugli animali e tutti inorridiscono di fronte alle immagini rubate negli allevamenti intensivi. E allora, perché si continua a mangiare la carne?
Quello che accade negli allevamenti intensivi e nei macelli è cosa nota. Inchieste sotto copertura, scatti rubati, interviste a chi ci ha lavorato e tanto altro materiale ne hanno mostrato il lato violento e doloroso. La stragrande maggioranza delle persone aborrisce la violenza sugli animali e non ne sopporta la sofferenza eppure mangia carne. Perché? A causa di un meccanismo psicologico chiamato “dissonanza cognitiva”: la bistecca o la fetta di prosciutto nel piatto non vengono collegati all’animale da cui proviene.
Una ricerca intitolata “Carnivori per dissociazione” effettuata da Jonas Kunsta e Sigrid Holec, due ricercatori dell’Università di Oslo in Norvegia, ha cercato di dare una risposta scientifica all’inibizione dell’empatia nei confronti della carne. Ne è emerso che basta cambiare il modo in cui la carne viene presentata (ad esempio cosce di agnello servite con la foto del piccolo ancora vivo) o persino chiamata (leggere “mucca” e “maiale” sul menù invece di “cotoletta” o “braciola”) che automaticamente cambia anche la reazione delle persone di fronte a quello che hanno nel piatto.
In tutti i casi più il piatto di carne veniva accostato all’idea di un animale e più i volontari sottoposti all’esperimento sceglievano di mangiare l’alternativa vegetariana. “Carni maggiormente lavorate rendono più facile distanziarsi dall’idea che essa provenga da un animale”, spiega il responsabile della ricerca, Jonas Kunsta, e, allo stesso tempo, meno la gente pensa che il cibo sia stato prima un animale e più si sente a suo agio nel mangiarlo.
Non è certo una scoperta rivoluzionaria ma per la prima volta è stata misurata l’esistenza e la gravità di un processo di rimozione mentale – già noto in altri ambiti di ricerca – in modo scientifico su un campione di 1000 volontari onnivori.
Cos’è la dissonanza cognitiva?
In psicologia la dissonanza cognitiva è definita come la tensione o il disagio che proviamo quando abbiamo due idee opposte e incompatibili o quando le nostre credenze non corrispondono a quello che facciamo.
Per capirlo usiamo un esempio al di fuori del contesto “carne”. Ho fatto l’abbonamento alla palestra ma non ci vado mai. Come fare a ridurre il senso di colpa? Cambiare il passato ormai non si può, cambiare un’abitudine e vincere la pigrizia non è facile, resta solo cambiare ciò in cui si crede. Molto più comodo.
Anche se salto una volta non succede niente; la settimana prossima vado sicuramente; tanto non dimagrisco comunque… basta aggiungere nuove credenze, modificare quelle che già si hanno o togliere loro importanza per eliminare l’incoerenza. Il risultato è che viene dato valore all’opzione scelta (restare a casa) rispetto all’alternativa scartata (andare in palestra).
La dissonanza cognitiva spiega la tendenza all’autogiustificazione: l’ansia e la tensione legate alla possibilità di aver preso una decisione sbagliata o di aver fatto qualcosa nel modo scorretto possono portarci ad inventare nuovi motivi o giustificazioni per legittimare la nostra decisione o rendere accettabile un’azione. Allo stesso tempo non sopportiamo due pensieri contraddittori o incompatibili, quindi giustifichiamo la contraddizione anche con idee assurde o palesi menzogne.
Bisogna sottolineare che la dissonanza cognitiva si verifica quando abbiamo libertà di scelta per quanto riguarda il modo di agire. Se siamo obbligati a fare qualcosa contro la nostra volontà, non c’è questa tensione (anche se convincerci che siamo stati obbligati a farlo può servire da autogiustificazione per ridurre il malessere).
La dissonanza è un processo automatico che tutti abbiamo provato e non è negativo perché necessario al nostro benessere mentale. Perché però non diventi dannoso è fondamentale essere consapevoli che la si sta utilizzando per non cadere nell’autoinganno. Nel caso del consumo di carne invece spesso lo si dimentica.
Il paradosso della carne
Insomma mangiare carne provoca un senso di disagio morale: la consumiamo perché ci piace ma ci sentiamo in colpa quando veniamo a sapere da dove proviene. Per combattere questo paradosso esistono tre forme di autodifesa, come spiega perfettamente nel suo libro “Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche” la psicologa americana Melanie Joy:
– cambiare il nostro comportamento in relazione ai nostri valori ossia smettere di mangiare carne perché riteniamo sbagliato provocare sofferenza e dolore agli altri esseri viventi. Informarsi in modo chiaro ed esaustivo è il primo passo verso questo tipo di cambiamento.
– cambiare i nostri valori per adeguarli al nostro comportamento ossia raccontare a noi stessi storie e giustificazioni per permetterci di continuare a consumare carne senza rimorsi perché in fondo non è poi così sbagliato. E’ il caso, anche, del fumatore incallito che pur sapendo perfettamente che il suo stile di vita danneggerà in modo più o meno grave varie parti del suo corpo e che il rischio di incorrere nel cancro ai polmoni è altissimo, afferma che si tratta di inutile allarmismo: non tutti i fumatori si ammalano e anzi molti vivono a lungo senza disagi fisici.
– cambiare la nostra percezione dei nostri comportamenti in modo che appaiono congruenti rispetto ai nostri valori: le persone interpretano le stesse informazioni in modi radicalmente diversi per sostenere le proprie visioni del mondo. Cioè, quando dobbiamo decidere la nostra visione su di un punto controverso, dimentichiamo come stanno le cose realmente e le sostituiamo con delle nostre teorie e i ricordi che più si adattano ad esse.
Le persone regolano rapidamente i loro valori per adattare il loro comportamento, anche quando è palesemente immorale. Per esempio coloro che timbrano il cartellino negli enti pubblici e poi vanno a fare shopping invece di lavorare, sosterranno che “lo fanno tutti!”; nel caso della carne basta pensare che quella fetta di prosciutto non deriva da nessun animale e nessun animale è stato ucciso per produrla e il gioco è fatto. Quanti invece sarebbero disposti ad allevare, crescere, uccidere un maiale e trasformarlo in quella fetta di carne prima di mangiarla?
Serena Porchera