Covid-19, Di Marco: “I nostri stili di vita devono cambiare, è imprescindibile” – Intervista
Il ricercatore del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie dell’Università La Sapienza spiega la correlazione fra distruzione della biodiversità, attività antropiche e virus
Morno Di Marco è un ricercatore presso il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie dell’Università La Sapienza. Il suo volto è diventato noto grazie alla trasmissione “Indovina chi viene a cena” intitolata “Il virus è un boomerang” perché è stato lui a spiegare che la correlazione fra eccessivo sfruttamento delle risorse ambientali e nuove emergenze sanitarie come quelle legate al Covid-19, non sono solo una “stramba ipotesi” degli animalisti degli ambientalisti, bensì una realtà sostenuta da fatti inoppugnabili. Lo abbiamo intervistato per approfondire alcuni aspetti importanti di questo tema.
Dottor Di Marco, ci spiega che cos’è la biodiversità?
La biodiversità è un termine che indica la diversità degli organismi viventi che si manifesta a vari livelli di organizzazione biologica come quello genetico, di specie e di ecosistema. Quando parliamo di malattie infettive che hanno origine animale, la “biodiversità” alla quale facciamo riferimento è quella di specie e in particolare la fauna selvatica.
Quali sono le motivazioni principali che portano alla distruzione della biodiversità?
A livello globale una delle principali cause è perdita di habitat naturali dovuta a conversione del suolo: nell’ultimo secolo questa è stata la causa più importante. Parliamo di conversione del suolo per motivi diversi, da quella per produzione agricola, a quella legata all’allevamento e al pascolo di bestiame, all’urbanizzazione. Negli ultimi vent’anni è stata persa una percentuale di zone di natura selvaggia (o “wilderness”), che è pari al 10% che, per dare un riferimento numerico, è di oltre 3 milioni di chilometri quadrati, un’area della dimensione dell’India che è stata convertita da natura selvaggia a uso antropico.
Poi abbiamo le attività di prelievo diretto di risorse naturali e di specie vegetali e animali: parliamo della caccia o della raccolta di specie selvatiche.
Non dimentichiamo poi la minaccia data delle specie invasive: con i suoi spostamenti l’uomo ha introdotto specie invasive e a causa di esse la biodiversità in alcune zone è in forte declino. Facciamo un esempio su tutti: quello dell’Australia. L’uomo qui ha portato la volpe, il gatto, e il coniglio e queste specie hanno avuto un impatto disastroso sulle specie native, soprattutto mammiferi e uccelli.
Altra causa del declino della biodiversità a livello globale è la diffusione di patogeni che sono pericolosi per gli animali. In questo periodo parliamo molto del contrario, ma ricordiamoci che ci sono malattie letali per gli animali e che si diffondono molto velocemente e questo determina un grosso problema. C’è, per esempio la chitridiomicosi che è un fungo che attacca gli anfibi che a livello globale sta intaccando profondamente le popolazioni di questa classe di animali.
C’è poi il cambiamento climatico, che cito alla fine perché nonostante il suo impatto sulla biodiversità nei recenti secoli non è stato così determinante, ora è in forte aumento e rischia di diventare una delle principali minacce. E’ come se avesse in qualche modo accelerato la sua corsa nel determinare conseguenze molto gravi.
Queste minacce che ho elencato hanno una caratteristica: interagiscono fra loro. Questo significa che il risultato della “minaccia uno” insieme alla “minaccia due”, chiamiamole così, non è semplicemente la loro somma, ma il risultato è maggiore della somma delle due parti.
C’è una relazione fra quello che ci ha raccontato e il sistema della produzione del cibo di origine animale?
Ci sono molte analisi che mostrano l’impatto degli allevamenti e di alcuni tipi di allevamenti di animali sull’aumento delle emissioni dei gas serra: non possiamo continuare ad aumentare la produzione di proteine animali e credere di non aumentare le emissioni di gas serra. Ci sono molti modi per produrre le proteine animali, ci sono studi in questo senso che spiegano come l’allevamento di diverse specie e con diverse modalità sia collegato a diversi livelli di emissione di gas serra.; altro discorso è quello di uno sviluppo tecnologico che ci permetta di produrre cibo in modo più smart. Un esempio: secondo alcuni Shared Socioeconomic Pathways, ossia scenari di previsione che ci danno dei possibili sviluppi futuri dell’economia umana su scala globale, useremo tecnologie di produzione che ancora non conosciamo ma che sì basano sui combustibili fossili: è un po’ un cane che si morde la coda. Va bene usare la tecnologia per produrre in modo più efficiente, ma se questo aumenta le emissioni il discorso non ha senso.
Davanti al cambiamento climatico le strategie sono molte, ma la coperta è corta se non iniziamo a pensare seriamente ad una riduzione dei consumi.
Gli esseri umani, noi, possiamo fare qualcosa, o la scala del problema è talmente enorme che non serve fare affidamento sui nostri comportamenti?
Un cambiamento nel modo in cui tutti noi, tutti i giorni usiamo risorse che in ultimo derivano dalla natura, è necessario; non è ipotizzabile nessun tipo di sviluppo tecnologico che nel futuro ci possa permettere di consumare magari 100 chilogrammi di carne a testa all’anno per tutta la popolazione mondiale da qui al 2030 o al 2050, soprattutto se pensiamo al fatto che Africa e Asia vorranno utilizzare i nostri modelli di consumo. Dobbiamo cambiare i nostri stili di vita: sicuramente va ridotta la quantità di risorse che consumiamo e in questo senso l’alimentazione è punto centrale: tutti dobbiamo ridurre l’ingestione di proteine animali. Da questo non si scappa: non possiamo pensare di trovare in 10 o 20 anni delle tecnologie che ci permetteranno di fare un uso scellerato delle risorse.
Ci spiega qual è il legame fra sfruttamento della natura e sviluppo di pandemie (o epidemie) come quella che stiamo vivendo ora?
Il discorso del legame tra malattie infettive e lo sfruttamento della natura e degli animali è molto semplice. Tutti gli animali, come i mammiferi o gli uccelli, vivono con dei patogeni, hanno una storia evolutiva che li ha portati ad essere infettati da virus o batteri che però si sono evoluti insieme all’animale stesso rendendo questi patogeni meno pericolosi per la specie e con un effetto limitato sulla loro salute. Quando ci sono condizioni che determinano un passaggio di specie del patogeno, ossia lo spillover, si creando le condizioni di rischio perché il nuovo ospite evolutivamente non ha necessariamente gli strumenti strategici difensivi nei confronti di questo patogeno. Gli esseri umani sono la specie più diffusa sul pianeta e noi rischiamo di prendere questi patogeni dalle specie selvatiche che, fino a che rimangono negli habitat naturali e non vengono disturbate, conviveranno con i loro patogeni e percorreranno le loro dinamiche ecologiche.
Perché quindi lo sfruttamento delle risorse naturali in modo indiscriminato ci porta ad un maggiore rischio?
Perché ci porta a maggior contatto con le specie selvatiche e aumentano così le probabilità di fornire a questi patogeni una nuova nicchia ecologica, l’uomo, che è la specie più diffusa del mondo e che può fare il giro del mondo in poche ore grazie ai viaggi aerei. Manipolare le specie animali selvatiche sia per scopo alimentare che per scopo medicinale o per renderli animali da compagnia o per il traffico illegale, porta ad un aumento delle probabilità di contagio, soprattutto in situazione come i mercati di certi paesi tropicali dove gli animali sono portati vivi, vengono a contatto con quelli morti, vengono macellati sul posto e vengono poi a contatto con tanti esseri umani. Non dimentichiamoci che il problema è anche quello inverso, ossia il fatto che noi come specie andiamo ad intaccare gli habitat naturali, deforestando per esempio, distruggendone l’equilibrio e portando attività agricole o pastorali a ridosso delle aree naturali: il bestiame può diventare una specie ospite intermedia e favorire la diffusione e il contagio dell’uomo. L’amplificazione avviene soprattutto a causa dell’alta densità di animali che è propria degli allevamenti: maggiore darà la densità di questi, maggiore e più veloce sarà la diffusione di un patogeno e quindi più probabile il passaggio all’uomo.
Sentiamo sempre dire che “sono anni che gli scienziati lo dicono”, eppure sembra sempre che non basti: come mai a suo avviso?
Tutti questi allarmi da un punto di vista scientifico sono dati per scontato: sono almeno vent’anni che si parla di questi temi e di queste tematiche. Non parliamo solo del libro di Quenmann, Spillover, ma anche di decine di articoli scientifici sul tema delle nuove malattie emergenti infettive di origine animale. Gli scienziati, quindi, hanno fatto il loro, gli organismi sovranazionali anche, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per esempio, che ha prodotto molti documenti a riguardo, come quello dedicato alla “malattia X” tre anni fa che parlava proprio di un possibile patogeno che sarebbe arrivato dagli animali e che se avesse avuto le caratteristiche di diffusione di un’influenza sarebbe potuto diventare una pandemia. La ricezione politica e quella sociale però sono state basse.
Io posso solo speculare sul perché: a mio avviso credo che questo tipo di informazioni ci portano a generare allarmi sui potenziali rischi a medio termine mentre determinate attività economiche ci danno vantaggi nel breve termine.
Se rado al suolo una parte di foresta tropicale per piantarci la palma da olio, per esempio, nel giro di pochi anni io ho un’attività avviata e guadagno, mentre i rischi a lungo termine che questo avrà per la biodiversità e per l’uomo, creando una situazione di contatto con le specie selvatiche, possono magari realizzarsi in tempi più lunghi. La scala temporale è diversa.
Sono scelte miopi che ci portano a situazioni gravi come quella che stiamo vivendo che non è altro che la conseguenza di sfruttamenti insostenibili come lo furono anche la Sars, l’ Ebola, o la Mers: il meccanismo è comune. Gli impatti di queste situazioni, come l’attuale pandemia, è certamente peggiore del beneficio economico che abbiamo potuto ottenere nel breve termine. La questione è che ora questi effetti li stiamo vedendo sempre più nel giro di brevi periodi, e non solo in termini di rischio di pandemie: basta vedere anche quello che è successo pochi mesi fa con gli incendi in Australia a causa di disboscamento e innalzamento delle temperature. Quello che dobbiamo capire è che ora le conseguenze di un uso insostenibile delle risorse naturali non si vedranno più solo nel lungo termine, con danni che pagheranno, per esempio, i nostri figli e nipoti, ma le pagheremo già noi magari fra pochi anni e quindi è necessaria una presa di coscienza e una consapevolezza immediata a riguardo.