Consumi di carne e siccità: il rischio di fare un errore di comunicazione

I dati e le infografiche che girano sul tema sembrano “promettere” risparmi idrici diretti e immediati grazie alla diminuzione del consumo di carne, ma la questione è ben più complessa

Nei giorni scorsi hanno fatto il giro del web dati, condivisi anche da associazioni animaliste e gruppi vegani – legate al tema del rapporto tra i consumi alimentari e l’impiego di risorse idriche. La carne – in particolare quella di manzo – rientra fra i peggiori della categoria in relazione alla quantità di cibo prodotto e acqua impiegata per produrlo. Eppure presentati in questo modo i dati rischiano di essere controproducenti anche per la causa animalista.

I dati

Tra le diverse associazioni, LAV Italia ha presentato i dati con un taglio pratico: una parte della soluzione alla siccità italiana dovuta in parte anche alla scarsa, se non quasi inesistente, caduta di piogge della stagione primaverile, potrebbe avere un alleato negli stessi cittadini e nelle loro scelte alimentari: “Se ogni consumatore decidesse di non mangiare carne di bovino risparmierebbe, per ogni fettina in meno da 100g, oltre 70 litri d’acqua. Se questa scelta venisse portata avanti per tutta la stagione estiva – continua LAV – poniamo tre mesi, assumendo il consumo di 200g di carne di bovino a settimana, ogni consumatore italiano risparmierebbe 2800 litri di acqua, equivalenti a 233 docce da 10 minuti l’una”.
La questione è che consumare una, due, tre, o 100 bistecche in meno ora, non avrà nessuna ripercussione immediata sulla situazione attuale e sul probabile razionamento dell’acqua potabile. Perché? Perché il consumo di questi migliaia di litri d’acqua è già avvenuto (quanti che siano, davvero, fra l’altro è difficile stabilirlo, dato che alcuni conteggi sommano non solo l’acqua potabile ma anche le acque reflue e quelle piovane, come sottolinea BUTAC) e non consumare quella carne (per risolvere in modo attivo la questione “siccità”) non avrebbe alcun effetto immediato. Anche Lorenza Bianchi, responsabile LAV per l’area “animali negli allevamenti” spiega a Vegolosi.it che “i dati che abbiamo usato sono sono basati sul Life Cycle Assessment (LCA) che è la metodologia utilizzata nella ricerca e che ci permette di attribuire quantità di risorse utilizzate a quantità specifiche di prodotto in ogni fase del suo ciclo di vita. L’effetto tradotto in effetto reale , però, è anche mediato dall’orizzonte temporale e con questo messaggio vogliamo lanciare una sfida ai consumatori che possono dare un grande contributo”.
Quindi, al netto del fatto che il sistema di produzione di carne e derivati deve essere abbandonato sia per questioni ambientali, di salute umana ma – soprattutto, etiche –  la comunicazione secondo la quale si “dimostra” come mangiare una bistecca oggi sia peggio che farsi una doccia in termini di risparmio reale idrico, è un errore. 

Perché non dovremmo consumare carne?

La deforestazione è uno degli effetti diretti e indiretti degli allevamenti intensivi

La produzione di carne e derivati ha senza dubbio un impatto enorme sulla crisi idrica, ma lo ha da quando il sistema è diventato industriale, praticamente dagli anni Trenta del Novecento. La questione, quindi, è sostanziale, politica e culturale. Quello che va compreso è che per produrre carne (o latte, formaggi e uova) si impiegano risorse come cereali e legumi che da soli potrebbero già entrare nella catena alimentare umana apportando le necessarie quantità di nutrienti agli esseri umani (come avviene nell’alimentazione a base vegetale). Il passaggio dei nutrienti dalla carne ai nostri sistemi digerenti è inefficiente da un punto di vista economico, ingiusto e inutile da un punto di vista etico e in alcuni frangenti, pericoloso per la salute umana. Quindi la questione non è diminuire il consumo di carne per tre mesi, per un mese e pensare che questo possa essere un’azione pratica e immediata contro la siccità, bensì è comprendere che il sistema alimentare, così come è strutturato oggi, va rivisto completamente, ha un impatto gigantesco sul clima – e quindi anche sulle crisi legate alla siccità – e che le nostre scelte consapevoli a tavola sono fondamentali sul lungo periodo. In questo momento, però, è più pratico, usare tutte le misure per evitare lo spreco di acqua potabile (docce brevi, non far scorrere l’acqua mentre insaponiamo le mani, usare quella che impieghiamo per lavare verdura e frutta per bagnare le piante senza buttarla, etc.); è certamente fondamentale arrivare a decidere di non mangiare più carne e derivati ma perché, nel complesso e sul lungo periodo, le aziende ne diminuiscano la produzione, convertendola verso prodotti più sostenibili ed efficienti, soprattutto nella parte più ricca del mondo: il nostro occidente. 

La soia è un legume la cui coltivazione e uso sono strettamente legati alla crisi climatica dato che, per la maggior parte, viene utilizzata come ingrediente per i mangimi degli animali d’allevamento e la sua coltivazione impiega enormi porzioni di terreni in alcune zone del sudamerica come il Cerrado, grande savana brasiliane.

Chi deve fare cosa?

LAV fa notare che il governo olandese aveva annunciato un piano per ridurre il numero di animali allevati del 30% (che ancora non si è concretizzato) e rivolge la propria richiesta direttamente al Ministro per l’Agricoltura italiano Stefano Patuanelli: “Chiediamo un confronto con il Ministro, ancor più gli chiediamo di agire, presto e con coraggio. Stiamo sfruttando la sofferenza di milioni di animali per distruggere il Pianeta e aggravare le crisi che periodicamente sperimentiamo. Bisogna cambiare direzione”. Insomma l’obiettivo non può essere quello di “far credere” che una bistecca in meno oggi potrà evitare il razionamento dell’acqua potabile fra pochi giorni, bensì che l’azione pratica sui consumi, se condotta da tanti e con solida consapevolezza, potrebbe davvero fare in modo che il sistema produttivo cambi (come in parte sta già accadendo), creando le condizioni affinché molte delle conseguenze nefaste degli allenamenti intensivi possano lentamente diminuire. L’azione dal basso è fondamentale, ma deve essere “politica” e non “pratica”, consapevole e non spinta dall’emotività legata – per esempio – alla crisi idrica attuale che tocca forte la nostra quotidianità; la siccità – che sta mettendo in crisi la stessa agricoltura da cui gli allevamenti dipendono, in un circolo vizioso che va interrotto, come fa notare Essere Animali, è solo l’ennesima stonata campana d’allarme per agire sui nostri consumi. Se poi potrà servire da “grimaldello” per convincere qualche indeciso sulla scelta veg, ben venga.

Ha collaborato all’articolo Daria Falconi

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