Chi ci spiega la crisi climatica? Quattro chiacchiere con gli “influencer green”

Che ruolo giocano i social nella comunicazione sulla crisi climatica? Ne parliamo con tre divulgatori scientifici diventati “influencer del clima”

di Marta Abbà

“Comunicare il cambiamento climatico è complesso quasi quanto il fenomeno del cambiamento climatico stesso”. Per chi ha almeno un’idea delle variabili in gioco, e dell’estrema imprevedibilità con cui oggi i climatologi hanno a che fare, questa metafora della divulgatrice Serena Giacomin risulta estremamente efficace. Per gli altri, in questo articolo parleremo con gli scienziati impegnati con successo nella divulgazione scientifica. Dalle loro voci intrecciate, a tratti all’unisono, a tratti soliste, emerge un quadro incoraggiante. Non mancano ostacoli e sfide, ma la buona notizia è che “l’utente” gioca un ruolo fondamentale come ultimo e definitivo responsabile della scelta di chi ascoltare. O, meglio, di chi essere follower.

Social esca per attirare, poi serve approfondire

I canali social sono entrati a gamba tesa nelle strategie di comunicazione scientifica, come anche di quella politica, prendendo il posto da protagonisti. Ma lo meritano davvero? “Non è pensabile oggi avviare un progetto di qualsiasi tipo senza una minima presenza sui social. Sono un ottimo mezzo per intercettare persone interessate, ma non sono l’unico modo di fare divulgazione, meglio usare tanti diversi media”, spiega Willy Guasti (@zoosparkle). Secondo Serena Giacomin sono “un mezzo immediato e veloce per incuriosire, poi però serve approfondire con altro: podcast, libri, programmi TV, doc o incontri” .

Instagram e Tiktok, seguiti da Youtube, sono i canali primari, secondo Stefano Bertacchi (@stefanobertacchi), che ritiene che puntare sui social sia “una scelta rischiosa ma inevitabile, per via del numero di utenti che permettono di intercettare. Spesso la scienza tratta temi complessi e tecnici, che necessitano di una certa attenzione da parte dell’utente, difficile da trovare sui social. Ma sono fondamentali perché permettono al creator di coltivare un senso di community. Una community di persone interessate, da alimentare con articoli e libri e organizzando eventi in presenza”.

Climate crisis: no terrore, ma esempi positivi

Non è quindi banale, per chi desidera trasmettere contenuti scientifici di qualità, utilizzare i social in modo corretto. Hanno rivoluzionato e rivitalizzato la comunicazione di questi temi, ma non devono arrivare a distorcerla o a banalizzarla. Il rischio è sempre presente e occorre vigilare, sia da utenti che da creator, soprattutto con un tema così “caldo” e ricco di implicazioni politiche come la climate crisis. “La cosa più difficile è far capire che ci siamo già dentro, e che non è più un problema che dovranno affrontare i nostri nipoti”, spiega Guasti. Bertacchi cerca “di far ragionare le persone, spesso anche evidenziando paradossi, e allo stesso tempo approfondendo le più importanti tematiche. Credo che il nostro ruolo sia quello di fornire gli strumenti per poter decidere basandosi su informazioni corrette“.

Giacomin, impegnata anche nella divulgazione e nella sensibilizzazione soprattutto dei giovani, vive questa sfida quotidianamente. La climatologa parla di “umiltà” e di “ascolto” del pubblico, per plasmare linguaggio e profondità e creare un dialogo aperto e continuo. Il miglior modo per alzare anche il tasso di apprendimento di un messaggio complesso come il cambiamento climatico. Giacomin snocciola poi una lista di barriere che costituiscono sfide per chi, come lei, è un’attiva protagonista della divulgazione sul tema. La barriera della distanza, perché è una questione che percepiamo lontano nello spazio e nel tempo. La barriera della dissonanza, perché l’avvertiamo solo se ci colpisce direttamente. La barriera dell’identità, perché con fenomeni come Greta Thunberg si rischia di focalizzarsi sulla persona perdendo di vista il reale problema. “Una delle principali barriere è però – sottolinea – quella della minaccia: la maggior parte delle notizie sul clima trasmettono terrore e questo tipo di narrazione sensazionalistica non aiuta a reagire ma immobilizza. Va usata la regola 1-3: a ogni notizia negativa, affiancare 3 esempi positivi”.

Scienza e persone: un rapporto da ricostruire contro il negazionismo

Un pericoloso fenomeno che, oggi più che mai, rischia di ritardare la reazione al cambiamento climatico da parte della popolazione mondiale è il “mercato del dubbio”, il negazionismo ossia quella percezione, ancora troppo presente, che ci sia un aperto dibattito sulle reali responsabilità antropiche del climate change, anche se non è così. La posizione della comunità scientifica è praticamente unanime e anche l’IPCC (The Intergovernmental Panel on Climate Change) non lascia spazio a equivoci o opinioni differenti. Eppure, si assiste spesso a una “comunicazione aggressiva, o tramite slogan semplicistici, che può vaporizzare in modo controproducente la discussione”, spiega Guasti, a cui spesso sembra di “predicare ai già convertiti” su questo tema, consapevole di non avere molti negazionisti nella sua community di followers.

Secondo Giacomin, il ruolo degli influencer del clima deve essere quello di “aiutare la comunità scientifica a comunicare nel modo più efficace possibile“. Un ruolo essenziale, soprattutto perché, pur avendo perso forza negli ultimi anni, i negazionisti riescono ancora a far danni quando si mettono in pratica delle politiche climatiche che cambiano abitudini e asset socio-economici. “Se la cittadinanza avverte dei dubbi, diventa più respingente. La soluzione è parlarne il più possibile, partendo dall’importanza del metodo scientifico e del rifarsi sempre ai dati, anche nelle scuole. Per tutto il mondo della scienza, oggi è urgente rinnovare un rapporto con la cittadinanza, partendo dalle basi, perché è un aspetto essenziale per una società che vuole essere in salute”.

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