Sperimentazione senza animali, Centro3R: “L’evoluzione va accettata”
In Italia esiste un centro che lavora per superare lo sfruttamento degli animali in campo scientifico a favore di tecniche innovative e il suo vice direttore ci spiega che cosa significa davvero “progresso”.
In Italia c’è chi crede fermamente in una sperimentazione scientifica senza l’utilizzo degli animali grazie alla costruzione di una coscienza comune sulle pratiche innovative: nasce da qui il Centro 3R, primo Centro Interuniversitario europeo con lo scopo di promuovere e sensibilizzare, all’interno delle università, studenti, ricercatori e docenti, nell’ambito della sperimentazione sostenibile. Il centro nasce come strumento di promozione e diffusione del metodo delle 3R (da cui il nome) finalizzate al benessere animale e al graduale superamento dell’utilizzo degli animali nel campo scientifico: rimpiazzare, ridurre e rifinire. Questi concetti sono stati introdotti per la prima volta da Burch e Russel già nel 1959, per capirne meglio le potenzialità e i futuri sviluppi abbiamo intervistato la vice direttrice del Centro, Anna Maria Bassi.
In riferimento alla sperimentazione senza animali, è giusto parlare di metodi alternativi o sarebbe più corretto parlare di progresso ed evoluzione?
Concordo pienamente con la sua affermazione: oggi dobbiamo proseguire sulla strada del progresso e dell’evoluzione. Non è più concepibile che un ricercatore voglia rimanere nella sua “nicchia Biologica” rifiutando a priori i cambiamenti perché teme di dover sconfessare gli studi precedenti. Diceva Franklin D. Roosevelt: “Ci sono molti modi di andare avanti, ma solo un modo di stare fermo”.
Quanto realmente può essere considerata utile ed efficace la sperimentazione scientifica sugli animali?
Evidenze scientifiche testimoniano la scarsa attendibilità di questo modello: esistono differenze di risposta tra ratto e topo e quindi come possiamo ritenere che gli esperimenti condotti su modelli murini siano trasferibili all’uomo che differisce dal punto di vista anatomico, fisiologico e metabolico dagli animali? L’uomo poi, nel corso della sua vita, è esposto numerosi stimoli esterni, che sappiamo influenzare perfino il DNA, è il concetto dell’epigenetica. E’ ormai stato dimostrato come i modelli animali per riprodurre patologie umane quali l’autismo, l’Alzheimer, la colestasi, patologie autoimmuni, l’asma e altri si sono rivelati un fallimento per identificare efficaci strategie terapeutiche. Uno studio sistemico fatto sull’animale, al di là della questione etica, ha un valore limitato proprio sul piano scientifico, perché come già detto, tra specie diverse esistono differenze enormi e persino nell’ambito della stessa specie.
Basti pensare alle differenze risposte di farmaci negli individui umani per il polimorfismo degli enzimi deputati al metabolismo e quindi come possiamo pensare di trasporre i risultati da una specie all’altra? Questo per la tossicologia, ma a maggior ragione vale in medicina, dove si fanno studi di patologie umane riprodotte in animali, che normalmente non le contraggono. Il nostro cervello per esempio non è costituito da neuroni più grandi di quelli del topo o del ratto, ma da neuroni che creano interconessioni più complesse per cui l’uomo è in cima alla scala evolutiva. I costi di questi studi così poco predittivi per ricavare informazioni sull’uomo sono elevatissimi, fondi ingenti che potrebbero essere più proficuamente impiegati per sviluppare modelli molto più aderenti alla fisiologia umana.
Il vostro obiettivo primario al momento è quello informare e sensibilizzare per far capire le reali ragioni che si nascondono dietro il cambiamento e farlo diventare un’esigenza per chi opera nel settore. Quanto è importante lavorare prima sulla creazione di una coscienza comune in questo ambito?
Per poter dialogare con i ricercatori che utilizzano ancora i modelli animali, occorre informarli sulle evidenze scientifiche della scarsa attendibilità di tali modelli. Ciò non significa che le ricerche svolte fino a questo momento siano state condotte male, ma alla luce delle evidenze scientifiche attuali bisogna avere il coraggio di voltare pagina, e cambiare modelli. Ad esempio, intervenendo anche a convegni internazionali sulla tossicologia in vitro, ho riscontrato con immenso sconcerto, che tra i partecipanti i gruppi di ricercatori italiani sono veramente pochi.
Uno dei metodi per informare è sicuramente quello di rendere “open access” i risultati di ricerche e lavori in questo ambito. In questo senso, quanto è importante un dialogo tra i docenti?
L’”open access” è un concetto molto diffuso all’estero, in Italia credo sia invece un concetto difficile da accettare. Il nostro Centro3R offre una reale condivisione di materiale didattico, di ricerche, pubblicazioni, ci saranno link per corsi formativi come i “webinair”, messi a disposizione da ditte specializzate nel settore delle tecnologie in vitro. I membri del Centro3R si sono dichiarati favorevoli alla condivisione delle proprie risorse, proprio perché così si potrà arrivare a creare una rete di ricerca che permetta ad altri di venire a conoscenza anche di dati rimasti nel cassetto, e che forse sotto una nuova ottica possono rivelarsi utili per il progresso della ricerca.
Ci può parlare dell’origine delle 3R?
I principi delle 3R (acronimo dei termini inglesi di Replacement, Reduction e Refinement, cioè sostituzione, riduzione e perfezionamento) sono stati sviluppati da W. Russel e R. Burch, membri della “University Federation of Animal Welfare”, nel 1959 in “The Principles of Humane Experimental Techniques”, per contribuire a un approccio da seguire per praticare una sperimentazione animale che mettesse d’accordo la qualità del dato sperimentale con l’uso consapevole del modello sperimentale utilizzato. Questo approccio, conosciuto come il Principio delle 3R è tutt’oggi quanto mai attuale e dibattuto. Da allora sono stati incorporati nella legislazione e nei regolamenti nazionali e internazionali sull’uso degli animali nelle procedure scientifiche, nonché nelle politiche delle organizzazioni che finanziano o conducono ricerche sugli animali. Sondaggi d’opinione sull’atteggiamento del pubblico dimostrano
costantemente che il sostegno alla ricerca animale è subordinato alla messa in pratica delle 3R.
La prima R, indicativa di sostituzione, si riferisce a tecnologie o approcci che sostituiscono o eliminano direttamente l’uso di animali in esperimenti in cui sarebbero stati altrimenti utilizzati, obiettivo da raggiungere accelerando lo sviluppo e l’uso di modelli e strumenti, basati sulle più recenti tecnologie, per affrontare importanti questioni scientifiche senza l’uso di animali.
Per molti anni gli animali di ricerca sono stati utilizzati per rispondere a importanti quesiti scientifici, compresi quelli relativi alla salute umana. I modelli animali, spesso costosi e dispendiosi in termini di tempo e presentano dei limiti scientifici per la scarsa rilevanza per la biologia umana. Nell’ultimo decennio, i progressi della scienza e della tecnologia hanno fatto sì che ora esistano opportunità realistiche per sostituire l’uso degli animali.
La sostituzione può essere completa e/o parziale. La prima evita l’uso di qualsiasi animale da ricerca. Include l’uso di volontari, tessuti e cellule umani, modelli matematici e informatici e linee cellulari validate. La sostituzione parziale include l’uso di alcuni animali che, sulla base dell’attuale pensiero scientifico, non sono considerati capaci di provare sofferenza (es. invertebrati come Drosophila, vermi nematodi e amebe e forme immature di vertebrati).
La seconda R indica la necessità di ridurre al minimo il numero di animali utilizzati per la ricerca, con progetti opportunamente strutturati che consentano di ottenere dati robusti, cioè scientificamente validi e predittivi, applicabili alla medicina traslazionale.
La riduzione include anche metodi che consentono di massimizzare le informazioni raccolte per animale in un esperimento al fine di ridurre l’uso di altri animali, quali l’uso di tecniche di imaging o di piccoli volumi di sangue per ripetere il campionamento nello stesso animale. In questa seconda R è inclusa anche la condivisione di dati e risorse (ad esempio animali, tessuti e attrezzature) tra gruppi di ricerca e organizzazioni.
La terza R sta per perfezionamento, cioè utilizzo, se necessario di modelli animali, garantendo una riduzione al minimo la sofferenza degli animali e migliorando il benessere degli animali utilizzati nella sperimentazione. Questa R si applica a tutti gli aspetti dell’utilizzo e mantenimento degli animali, e alle procedure scientifiche eseguite su di essi. Per esempio si deve garantire agli animali un “alloggio” che consenta loro i comportamenti specifici delle specie e utilizzare pratiche di anestesia e analgesia appropriate per ridurre al minimo il dolore.
C’è qualche aspetto che avete riscontrato nel periodo di attività che vi porta a sperare in un cambiamento radicale? In riferimento soprattutto ai giovani universitari, credete ci sia un’apertura maggiore verso nuovi orizzonti?
Il grande interesse da parte di colleghi dei nostri e di altri Atenei , in seguito alla diffusione dell’evento di inaugurazione, che ha visto ricercatori di rilevanza internazionale e istituzionale, ci fa ben sperare .
Da circa 10 anni organizzo con il mio team (LARF-DIMES) corsi teorico pratici sui modelli sostitutivi all’uso di animali, avvalendomi, per ogni edizione, di specialist di aziende all’avanguardia nelle nuove tecnologie e dando la possibilità a tutti di eseguire personalmente i test. La partecipazione è veramente su scala nazionale e vede ricercatori di vecchia data e giovani laureati interessati alle nuove tecnologie da applicare nella loro attività di ricerca.
Ai giovani ricercatori si devono offrire gli strumenti per una formazione sempre aggiornata sulle nuove tecnologie per lo sviluppo di modelli in vitro sempre più realistici per poter avere risultati validi, utili per capire l’innesco di una patologia e individuare strategie preventive e terapeutiche nell’ambito della medicina umana e veterinaria. Questi modelli poi si rivelano utili anche per identificare i rischi per l’ecosistema di esposizione a composti chimici (inquinanti ecc.)
Ci sono delle normative europee che disciplinano l’uso degli animali nell’ambito delle sperimentazioni scientifiche?
La direttiva 2010/63 / UE disciplina l’uso degli animali nell’Unione europea rendendo espliciti i principi e i ricercatori devono dimostrare l’uso di tecniche di sostituzione, riduzione e raffinamento nella ricerca che coinvolge animali.
In applicazione dell’Art. 25 comma 1 del Decreto Legislativo 4 marzo 2014, n.26 in attuazione della Direttiva 2010/63/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 22 settembre 2010 sulla protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali è stato istituito l’Organismo Preposto al Benessere degli Animali (OPBA) “L’OPBA esamina preventivamente i progetti di ricerca da svolgere presso lo stabilimento autorizzato di cui fa parte, per poi esprimere un parere motivato sul progetto di ricerca, verificando la corretta applicazione del principio delle 3R e valutando i seguenti aspetti: la corretta applicazione della normativa; la rilevanza tecnico-scientifica del progetto; gli obblighi derivanti dalle normative europee e internazionali o farmacopee per lo sviluppo e la sicurezza dei farmaci e i saggi tossicologici relativi a sostanze chimiche e naturali; la possibilità di sostituire una o più procedure con metodi alternativi; l’adeguata formazione e la congruità dei ruoli professionali del personale utilizzatore indicato nel progetto; la valutazione del danno/beneficio. In caso di parere positivo il progetto viene sottomesso al Ministero della salute per l’approvazione o il diniego all’esecuzione. I progetti approvati in sede ministeriale potranno essere svolti nelle modalità e nei tempi previsti e autorizzati. Nel caso in cui, per motivi scientifici o tecnici si rendano necessarie eventuali modifiche, l’OPBA dovrà provvedere a informarne nuovamente il Ministero della salute e a richiederne, se previsto, il consenso”.