Cartoline del disastro dalla fase 2: non andrà affatto “tutto bene”

Le immagini che arrivano da tutta Italia spiegano un punto cruciale: non abbiamo capito quale sia la vera emergenza e non stiamo imparando nulla.

“Non ci sveglieremo, dopo il confinamento, in un nuovo mondo; sarà lo stesso, un po’ peggiore”. Lo scrittore francese Michel Houellebecq in un recente articolo riportato sulla radio pubblica France Inter, ha chiosato così la sua ipotesi sul futuro “post Covid-19”, un futuro che non è ancora arrivato ma che ha già iniziato a spedire numerose “cartoline”.

Quelle che vedete nelle immagini di questo articolo sono foto emblematiche del problema principale dal quale è partita questa pandemia così come tutte le epidemie del passato: abbiamo oltrepassato il segno riguardo il sovra sfruttamento delle risorse ambientali, procedendo ad utilizzare risorse finite all’interno di un modello economico che prevede una crescita esponenziale ed infinita.

L’economia e il sistema lo chiedono: sempre di più e a meno. Eppure questa formula non è praticabile se non garantendoci la certezza assoluta di condurre passeggiate non tanto nei parchi riaperti bensì su un terreno disseminato di mine sensibilissime e pronte ad esplodere.

I fiumi, la plastica, la carne

Le immagini del fiume che accoglie scarichi inquinanti arriva dalla Campania. Si tratta del fiume Sarno, uno dei più inquinati d’Europa a causa degli sversamenti (spesso abusivi) delle fabbriche limitrofe. La foto scattata dal fotografo Peppe Hapax ha fatto rapidamente il giro del web ed è stata commentata anche dalla presidente di Legambiente Campania, Maria Teresa Imparato: “Durante il lockdown il Sarno aveva ripreso colore, quello degno di un corso d’acqua superficiale. Ora, si è ripartiti facilmente e puntualmente con scarichi che lo hanno riportato alla triste normalità. Qui, per la lotta agli ecocriminali non abbiamo visto droni, controlli, lanciafiamme ed elicotteri”.

Una foto scattata in Canada. Una donna non è riuscita a salvare un passero rimasto incastrato in una mascherina gettata a terra. L’animale è morto poco dopo.

Guanti e mascherine monouso gettati a terra e che finiscono nei terreni e nei corsi d’acqua sono, invece, un regalo che i cittadini stanno facendo all’ambiente. Dato che, come ha spiegato il filosofo Roberto Marchesini nell’intervista esclusiva pubblicata nel primo numero di Vegolosi MAG, “l’abitudine è più forte anche della paura”, l’atteggiamento criminale di chi getta a terra rifiuti che nascono già per finire nell’indifferenziato, causerà un’ulteriore e gravissima crisi ambientale, come confermato anche dal presidente di Plastic Free Onlus, Luca De Gaetano. Non è per nulla chiaro il collegamento che esiste fra la crisi sanitaria nella quale siamo tutt’ora coinvolti, con milioni di ammalati e miriadi di morti, e il nostro modo di consumare e creare spazzatura, di ogni tipo, per esempio con il semplice gesto di gettare a terra una confezione di plastica, una bottiglietta d’acqua, un mozzicone di sigaretta oppure un paio di guanti in plastica o una mascherina. Eppure quando poco tempo fa il ricercatore Franco Borgogno, giornalista e ricercatore presso lo European Research Institute ed autore del libro Un mare di plastica, mostrava le immagini di coperchi di tazze da caffè take away che galleggiavano nel mare del Polo Nord, questo collegamento era diventato un’immagine. Anche i sacchetti di detersivo in polvere a marca francese trovai nello stomaco di una balena rinvenuta morta su una spiaggia sulla costa sarda nel 2018, avevano mostrato in modo drammatico che le nostre azioni e i nostri acquisti, un significato (e delle conseguenze) le hanno.

Ma la libertà, la voglia di tornare “alla vita di prima”, alla “normalità” hanno sempre la meglio in una specie, la nostra, che non è proprio in grado di imparare nulla dai propri errori e dai momenti di crisi. Un filosofo molto ostico per molti e sconosciuto ad altrettanti, Georg Wilhelm Friedrich Hegel ha spiegato che “Dalla storia impariamo che non impariamo dalla storia“. Ed ecco perché quelle file al drive in dei fast food immortalati in un video girato in un quartiere di Bari e le segnalazioni di altre file chilometriche identiche in giro per l’Italia nelle ore immediatamente successive all’inizio della Fase 2, ci mostrano che nemmeno la connessione fra gli allevamenti intensivi per la produzione di carne a basso costo ma ad altissimo impatto ambientale (per non parlare dell’impatto sulla vita degli animali), è chiara, anzi. Fra i prodotti che hanno incontrato un maggior incremento di vendita durante il lockdown ci sono stati tonno in scatola e affettati.

Perché non si capisce?

Il tema è complesso ma un punto è chiarissimo: la comunicazione su questi temi non è sufficiente e non è forte quanto dovrebbe esserlo. Se davvero nel giro di pochissime ore sulle televisioni, nelle radio e nei giornali di tutto il mondo sono apparse, giustamente, le indicazioni per prevenire la diffusione della patologia Covid-19, istruzioni semplici e ripetitive che servivano a chiarire immediatamente che una crisi sanitaria come questa andava affrontata con grande senso civico, consapevolezza e attenzione, la situazione della crisi climatica e dei nostri consumi, andrebbe affrontata nello stesso modo (almeno “nel migliore dei mondi possibili”) lanciando un allarme che faccia tremare i polsi, e non per eccessivo zelo o cautela, ma perché di cambiamento climatico si muore già, così come sono già chiare le sue ripercussioni economiche.

Inquinamento-da-allevamenti-intensivi-come-funziona

Ma nonostante gli sforzi di Leibniz a cavallo fra il Seicento e il Settecento di farci credere di vivere in mondo che è già al meglio delle sue possibilità, sappiamo che non è affatto così, e se non possiamo sperare che Amadeus appaia sulle tv italiane a dirci che le mascherine non si buttano per terra e che mangiare carne e derivati è qualcosa che andrebbe “davvero evitata”, forse dovremmo invece pretendere un giornalismo diffuso che non abbia più paura di dire le cose come stanno, strangolato da ricatti, ormai nemmeno più velati, di congelare le compagne pubblicitarie che fanno parte del sistema di sostentamento dell’informazione sempre più gratuita e perciò sempre più dipendente da tutti, tranne che dai lettori.
Il momento della prudenza e della mediazione per evitare reazioni troppo forti, il tempo dei “Non è necessario diventare per forza tutti vegetariani o vegani, non vi preoccupate”, la volontà ferrea in mezzo ad una crisi spaventosa di garantire le stesse abitudini e il “ritorno al mondo di prima”, sono finiti.


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