Carne di cane a Yulin: non ci dobbiamo indignare
Una delle più importanti psicologhe del mondo ci spiega perché indignarsi non serve proprio a niente
“Amiamo i cani e mangiamo le mucche non perché i cani e le mucche siano fondamentalmente diversi – le mucche come i cani hanno sentimenti, preferenze e consapevolezza – ma perché la nostra percezione di loro è diversa”. Questo è un passo di uno dei libri più noti e importanti di Melanie Joy, psicologa americana che da anni si occupa del tema del “carnismo”, ossia del meccanismo psicologico che ci porta a considerare “commestibile” una specie animale a discapito di un’altra. Il libro si intitola “Perché amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche“.
La questione è proprio questa, ed è il motivo per cui quelle milioni di firme per chiedere al governo cinese di porre fine alla “barbarie” non hanno senso. Non ha senso criticare ed indignarsi contro quella che è a tutti gli effetti una tradizione culinaria, quando nel nostro paese si fa esattamente la stessa cosa con altri animali come i maiali, le mucche, le capre, gli agnelli, le galline. Melanie Joy spiega molto bene che cosa c’è dietro questa indignazione di massa
Esiste un gap inspiegato, un anello mancante, nel nostro processo percettivo quando si tratta di specie commestibili […]. Il motivo è che consideriamo il cane e la mucca in modo diverso. Il principale ingrediente di uno spezzatino non è assolutamente cambiato. Era carne animale all’inizio e tale è rimasta
I cinesi non sono “peggiori” di noi, non possiamo creare ed utilizzare metri di giudizio basati su quella che è solo una “percezione”, come la definisce la Joy: si tratta solo di cultura, la cultura crea una credenza e questa credenza guida il nostro comportamento. Il gusto è qualche cosa che viene perlopiù acquisito attraverso il contesto e l’educazione che ci vengono forniti. Non parliamo del gusto inteso come “Amo il gelato alla fragola e meno quello al limone”, bensì quel gusto che ci fa apprezzare come succulenta una bistecca di cavallo ma che ci fa inorridire davanti ad un grillo fritto oppure davanti ad uno spezzatino di cane o ad un burger di coccodrillo (una delle tante “delizie” servite durante Expo Milano 2015). L’esempio è facile: quanti di coloro che hanno la passione per l’equitazione mangerebbero mai una bresaola di cavallo? Il contatto, la conoscenza, la consapevolezza di quanto e come tutti gli animali siano in grado di stabilire connessioni emotive con noi, ci farebbe cambiare immediatamente prospettiva. Ma facciamo un ulteriore passo: anche riguardo a quegli animali con cui non siamo in grado, per vari motivi, di stabilire una connessione empatica (pensiamo a ragni, scarafaggi, zanzare, leoni, giaguari, etc.) non abbiamo modo di stabilire che meritino di essere mangiati, o sfruttati, o rinchiusi.
Il gap segnalato da Melanie Joy è dovuto al passaggio umano dall’empatia all’apatia, passaggio che avviene in questo modo:
Teniamo agli animali e non vogliamo che soffrano. Allora perché li mangiamo? I nostri valori e comportamenti sono incongruenti e tale incongruenza provoca in noi un disagio morale. Per alleviarlo abbiamo tre scelte: cambiare i nostri valori, cambiare i nostri comportamenti oppure cambiare la nostra percezione per far apparire i nostri comportamenti in armonia con i nostri valori
Fino a che non colmeremo quel gap, fino a che crederemo che la carne di una mucca sia diversa da quella di un cane, fino a che chiuderemo volontariamente gli occhi su che cosa c’è dietro alla produzione di quello che mangiamo, fino a che giustificheremo la nostra paura di vedere immagini cruente di macelli con un “Per carità, altrimenti non mangio più”, allora, no, non potremo firmare nessuna petizione contro il festival di Yulin.