Archeoplastica: il museo che mostra la plastica “eterna”
Una bomboletta degli anni ’60 in perfette condizioni giaceva sulla spiaggia: la plastica è eterna e un museo la vuole mostrare per salvare il mare.
Ripensate per un momento a quella confezione di crema solare che da piccoli vi spalmavano su braccia e gambe i genitori. O ancora a quel tubetto di colla bianco con la scritta rossa con la quale vi siete impiastricciati le mani a scuola durante l’ora di disegno. Ora, tornando con la mente alla realtà, realizzate che proprio quell’oggetto commercializzato decine di anni fa, per voi così lontano nei ricordi, si trovi là, tra le dune di sabbia della spiaggia vicino casa vostra. Probabilmente dopo un momento di nostalgia, questa lascerebbe immediatamente spazio all’amarezza e forse, si spera, alla consapevolezza.
Proprio il ritrovamento di uno di questi “reperti” plastici ha dato il via ad Archeoplastica ossia il museo degli antichi rifiuti spiaggiati nato dall’idea di Enzo Suma, guida naturalistica ad Ostuni: obiettivo, sensibilizzare le persone sull’inquinamento del mare causato dalla plastica “eterna”.
Quella bomboletta spray degli anni ’60
Ma dove nasce l’idea di un museo archeologico sulla plastica? Suma dal 2018 e con l’associazione Millenari di Puglia si è impegnato attivamente per organizzare delle giornate di raccolta collettiva sulle spiagge di Brindisi e, proprio durante una di queste ha scoperto il primo oggetto “storico”. Rinvenuto in riva al mare, fu una bomboletta Spray Ambra Solare degli anni ‘60, con il retro ancora leggibile e il prezzo riportato in lire, a far scattare l’idea. Da lì, dopo aver condiviso la foto del flacone spray su Facebook, mai avrebbe immaginato che moltissime persone avrebbero commentato sotto al post esternando il proprio stupore nel vedere un prodotto d’epoca, caro ai loro ricordi, ancora in perfetto stato dopo tutti questi anni.
Realizzando di avere catturato l’attenzione del pubblico con un semplice gesto, ecco l’idea: mostrare con i fatti quanto siano estremamente resistenti i rifiuti plastici e come rappresentino un enorme problema per l’ambiente e l’habitat marino. La scienza infatti ci dice che nelle condizioni presenti in mare e sui fondali, la plastica si degrada ancora più lentamente di quanto già non faccia sulla terra, superando anche i mille anni di vita e tutto quello che abbiamo buttato in mare fino ad ora probabilmente si trova ancora lì. E se continueremo così, presto in mare ci saranno più plastica che pesci. La plastica in mare o sulle spiagge, inoltre, continua ad esistere frantumandosi lentamente in milioni di micro particelle che rimangono dell’acqua diventando – come è già – parte della catena alimentare ittica (e quindi anche della nostra).
Dopo quell’episodio Suma ha iniziato a raccogliere molti rifiuti in plastica dalle spiagge, ha conservato quelli vintage di età variabile tra i trenta e i sessant’anni:“La parte difficile – spiega – è lo studio del “reperto”. Bisogna indagare effettuando delle ricerche nel web, analizzando bene l’oggetto come farebbe un archeologo alla ricerca di una preziosa informazione, una data, un dettaglio che consenta di arrivare poi alla datazione. Non è un lavoro sempre facile” continua Suma rivelando che una volta, per scoprire che un contenitore senza scritte era un bagnoschiuma del 1960, ha impiegato più di un anno e mezzo!
Suma però non si è mai fermato e anzi, ad oggi, ha raccolto oltre 200 reperti databili tra gli anni ‘30 e gli ‘80, alcuni conservati talmente bene da riportare in evidenza la scritta in lire proprio come la prima bomboletta. Questi reperti di plastica, frutto di un’archeologia dai tratti davvero foschi, sebbene siano ormai privi di valore e tremendamente inquinanti, raccontano davvero la nostra storia e sono diventati così il pretesto per avvicinare le persone a una realtà che ancora faticano ad accettare: quella della plastica immortale.
La raccolta fondi per il museo virtuale
Ecco allora la raccolta fondi online, partita nei primi giorni del 2021 per permettere al progetto di creare prima un museo virtuale dedicato ai rifiuti, e poi una mostra itinerante tra scuole e luoghi pubblici. Raccontare la necessità di ridurre la plastica usa e getta è molto importante soprattutto se lo si riesce a fare intercettando il pubblico più giovane. Sono proprio i bambini, infatti, a dover prendere atto, vedendoli, che quei rifiuti plastici, oggi, hanno l’età dei loro genitori.
La cifra richiesta dalla raccolta, settemila euro, è stata raggiunta e il progetto è partito con la creazione del profilo Instagram che in poco tempo ha raggiunto migliaia di follower: il museo virtuale ha visto la luce. Attualmente è in costante espansione e si lavora giorno e notte per ampliarlo e tenerlo aggiornato. È ora possibile dunque navigare virtualmente in un mare di rifiuti plastici.
Ogni reperto possiede una carta d’identità che riporta il nome e il periodo storico di produzione, il luogo del ritrovamento e da lì è possibile iniziare il tour in 3D per ammirarlo in tutto il suo splendido stato di “decomposizione”.
Ricordare che tutti possono fare la differenza, anche con un minimo contributo, è importante. Partire dal riconsiderare e cambiare le nostre abitudini e il consumo quotidiano di oggetti in plastica, che siano usa e getta o no, è la giusta direzione. Se dunque vi steste chiedendo anche voi da dove cominciare, un buon punto di partenza può essere la nostra newsletter “Meno waste“, con la quale per 15 giorni vi suggeriamo 15 consigli pratici per imparare come inquinare meno, mangiare meglio e stare bene.