“Anthropocene”, la mostra e il documentario: “Non si torna più indietro”
Abbiamo visitato la spettacolare mostra che racconta per immagini come l’uomo stia plasmando il Pianeta in maniera definitiva. Al punto da indurre la scienza a parlare dell’avvento di una nuova era geologica: l’epoca umana
Il primo scatto, con le linee nette del cosiddetto “flysch”, l’impressionante scogliera di roccia sedimentaria protesa lungo la spiaggia di Itzurun, in Spagna, che reca le tracce dei cambiamenti geologici intercorsi tra 100 e 50 milioni di anni fa. E l’ultimo, quello del profilo ricurvo della più contemporanea delle montagne: la discarica di plastica di Dandora, nei pressi di Nairobi, la più grande di tutta l’Africa orientale. È già nel dialogo e nel contrappunto quasi geometrico che mette in relazione le due fotografie che rispettivamente aprono e chiudono l’esposizione, che sta il significato di “Anthropocene”, la potente mostra che alla Fondazione Mast di Bologna racconta con le immagini del fotografo canadese Edward Burtynsky e dei registi Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, l’Antropocene, la nuova era definita dall’impronta umana.
In mezzo, il senso di soffocamento indotto dai grandi murali che rendono visibile l’urbanizzazione incontrollata delle megalopoli, da Lagos a Los Angeles, i colori psichedelici delle miniere di potassio scavate nelle profondità degli Urali russi e quelli fosforescenti delle vasche di evaporazione del litio nel deserto di Atacama, in Cile. Le foreste disboscate del Canada e della Malesia, le dighe impetuose delle Cina. I coralli della Grande barriera australiana sbiancati dalle alte temperature del mare. Le terre aride riconquistate forzatamente all’agricoltura della Spagna. E le linee perfette dei blocchi di marmo delle cave di Carrara, strappati alla montagna dalle macchine dell’uomo.
Che cos’è l’Antropocene
Questo è l’Antropocene raccontato dalle fotografie di Burtynsky, che per questo lavoro di documentazione si è ispirato agli studi dell’Anthropocene Working Group, il gruppo di ricerca che dal 2009 indaga e raccoglie prove a favore della definizione di una nuova era geologica, l’Antropocene, per l’appunto. La parola (dal greco anthropos, uomo) fu coniata nel 2000 dal chimico e studioso dell’atmosfera olandese Paul J. Crutzen e da Eugene Stoermer a indicare l’insieme dei fenomeni sociali, economici e politici di vasta scala che caratterizzano la nostra epoca e i suoi indiscutibili effetti sul Pianeta. L’impatto esercitato negli ultimi decenni dall’uomo sulla Terra – è la tesi sostenuta dall’Anthropocene Working Group – ha raggiunto proporzioni tali da essere equiparabile, se non addirittura superiore per forza e importanza, alle trasformazioni subite dal Pianeta nel corso delle diverse ere geologiche. Proprio dal punto di vista geologico, dunque, saremmo già fuori dall’era oggi scientificamente riconosciuta, l’Olocene, pienamente immersi nell’Antropocene, la nuova era dell’uomo.
Il racconto fotografico
Così, mentre la scienza raccoglie prove geologiche e si interroga su quale possa essere considerata la data di inizio della nuova epoca (per alcuni studiosi la Rivoluzione industriale di metà Ottocento, per altri il 1950 quando si registrarono per la prima volta i segnali della cosiddetta “bomb spike”, la dispersione di radionuclidi seguita allo sgancio della prima bomba atomica), l’arte documenta il cambiamento. Nei suoi scatti Edward Burtynsky lo fa soprattutto dando rilievo alle linee della natura, quelle imprevedibili proprio delle cave di Carrara, che improvvisamente compaiono nell’immagine spezzando l’ordine geometrico dei cubi di marmo estratti dall’uomo. O quelle delle foreste del Borneo, divise esattamente a metà dal disboscamento massiccio che sta facendo sempre più spazio alle coltivazioni della palma da olio. Esaltando i colori e alternando visioni di insieme e dettagli, grazie al ricorso alle più avanzate tecniche di realtà aumentata.
Antropocene, il documentario
La mostra fotografica di Burtynsky fa parte di un progetto multidisciplinare più ampio all’interno del quale rientra anche il documentario “Antropocene. L’epoca umana”, che ha fatto il giro del mondo ed è ora visibile insieme alla mostra sempre al Mast di Bologna. Realizzato a più mani dallo stesso fotografo francese insieme ai registi Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier, il film è stato girato in 20 diversi Paesi. Sono stati necessari quattro anni di riprese per realizzare questo documentario definito dalla critica internazionale “un viaggio visivo senza precedenti”.
Il film riprende e sviluppa sullo schermo i temi già affrontati delle fotografie di Burtynsky. I capitoli che compongono il racconto cinematografico sono i medesimi delle categorie sulle quali indagano gli studiosi dell’ Anthropocene Working Group: estrazione, terraformazione, tecnofossili, antrourbanizzazione, cambiamento climatico, estinzione. È così che la narrazione dell’epoca umana si fa, se possibile, ancora più potente quando la discarica di Diandora si popola delle persone che sulla montagna di rifiuti di plastica lavorano a mani nudi per 1 scellino a kg di plastica messo insieme dichiarandosi orgogliosamente felici di quel lavoro (e inducendo la necessaria riflessione sulle responsabilità politiche ed etiche del mondo Occidentale e industrializzato sugli effetti indotti dall’Antropocene a scapito dei Paesi più poveri). O quando il cambiamento climatico assume le sembianze oniriche e paradossali di una Venezia notturna, sommersa dall’acqua e a rischio scomparsa.
E poi ci sono i numeri, con l’85% delle foreste cancellate, i 100 miliardi di tonnellate di materiali estratti dalla terra e movimentati, più di quello che mai abbiano spostato tutti i fiumi del mondo. E il tasso di estinzione delle specie animali provocato dall’uomo, oggi 10mila volte più alto di quello che sarebbe il ritmo naturale. Ed è proprio qui, sul capitolo dell’estinzione, che termina l’immersiva esperienza di “Anthropocene”. Quella, soprattutto, degli elefanti, che aprono e chiudono il documentario: le immagini sono quelle dei roghi di zanne in Kenya allestiti per manifestare contro il bracconaggio. Una vibrante protesta alla quale è affidato il messaggio dell’incredibile lavoro di documentazione di Burtynsky, Baichwal e de Pencier: riconoscere i segni dell’impronta umana sul Pianeta è il vero, primo passo per il cambiamento.
“Anthropocene”
Fondazione Mast – Bologna
Mostra visitabile fino al 5 gennaio 2019