Angela Davis: perché essere vegani vuol dire essere antirazzisti

La storia della lotta per i diritti civili delle minoranze umane ha stretti legami con quella della liberazione animale: Angela Davis, attivista e vegana, ne è la prova

Quanto è stretto il legame tra specismo e razzismo? Angela Davis, attivista e vegana, che fu (ed è ancora) una delle figure politiche più importanti dello scorso secolo è la testimonianza vivente che questo legame è strettissimo: “Di solito non dico di essere vegana, ma le cose sono cambiate…”. Nata il 26 gennaio 1944 a Birmingham (Alabama, stato del sud segregazionista), Angela Davis è diventata celebre negli anni ’60 e ’70 come attivista dei diritti civili degli afroamericani e delle donne.

La sua carriera comincia con gli studi di filosofia presso la Brandeis University in Massachusetts con Herbert Marcuse ma è dopo la laurea conseguita all’Università della California che entra a far parte dei Black Panters e si avvicina all’ideologia comunista; questa fervente partecipazione politica le costerà la libertà dopo l’accusa (da cui verrà pienamente scagionata) di rapimento, cospirazione e omicidio per la morte del giudice Harold Haley, di alcuni giurati e del procuratore distrettuale impegnati in un processo contro tre detenuti militanti del movimento delle Pantere Nere il 7 agosto 1970.

A lei John Lennon dedicò Angela e i Rolling Stones Sweet Black Angel. Lo scorso anno è stata una delle voci più attive contro l’insediamento di Donald Trump alla presidenza giudicando la sua campagna elettorale rivolta essenzialmente “ai settori più razzisti e politicamente più arretrati della popolazione”.

Storia del legame tra razzismo e specismo

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Angela Davis dimostra quanto spesso autori e filosofi che hanno dedicato la loro vita alla lotta contro il razzismo si siano mostrati sensibili anche alla questione animale, intimamente collegata alla discriminazione ai danni delle minoranze umane. Peter Singer ha emblematicamente espresso questo concetto negli anni ’70 riconoscendo nel sessismo, nel razzismo e nello specismo la stessa identica radice di violazione del principio fondamentale di uguaglianza: “Il razzista viola il principio di eguaglianza attribuendo maggior peso agli interessi dei membri della sua razza qualora si verifichi un conflitto tra gli interessi di questi ultimi e quelli dei membri di un’altra razza. Il sessista viola il principio di eguaglianza favorendo gli interessi del proprio sesso. Analogamente, lo specista permette che gli interessi della sua specie prevalgano su interessi superiori dei membri di altre specie. Lo schema è lo stesso in ciascun caso”.

Nella rivista antispecista La Nemesi si legge che il rapporto che unisce sottilmente discriminazione verso le minoranze e verso gli animali diventa particolarmente evidente se le vittime sono donne poiché entrambe le ideologie si basano sul concetto di “inferiorità”, di una natura che sancisce l’intima inferiorità degli animali animali rispetto agli umani, della donna rispetto all’uomo e dei popoli barbari rispetto a quelli civilizzati; cosa che legittima la schiavitù, lo sfruttamento, il lavoro forzato, il genocidio. Nel Medioevo si riteneva che la donna fosse perversa, debole, ottusa, subdola, dominata dagli istinti e non dalla ragione; dal XVI secolo erano i coloni neri nelle piantagioni; oggi sono i polli, i maiali, le mucche negli allevamenti e nei macelli. “Le femmine e i bruti (le razze inferiori) sono talmente diversi che, rispettivamente, la Santa Inquisizione e la colonizzazione hanno messo in pratica le più impensabili torture, con il convincimento di trovarsi di fronte a degli esseri di natura demoniaca e di indole bestiale, incapaci di soffrire. I carnefici, spesso coperti da una maschera di cuoio, appendono, stritolano, stirano, bruciano, ammaccano, seviziano con distacco scientifico il corpo della malcapitata. I loro occhi sembrano non vedere l’orrore del corpo martoriato, le loro orecchie sembrano non udire i lamenti, i gemiti, le invocazioni. Sarà  inutile ricordare il parallelo con vivisettori e macellatori?”

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Anche Will Tuttle (impegnato da 15 anni sul fronte dell’informazione sulla corretta alimentazione e senza derivati animali) in Cibo per la pace, nel capitolo dedicato al consumo di latte e derivati, mette in relazione il ruolo della mucca e della gallina con quello della madre umana: “La cultura dei cibi animali promuove il dominio e lo sfruttamento delle femmine e del principio femminile, che racchiudono in sé il potere di dare la vita e di nutrire”. “Come con i latticini, quando acquistiamo le uova fomentiamo il furto e la violenza contro le femmine che subiscono abusi terribili”.

Di conseguenza le battaglie combattute da antispecisti e antirazzisti non sono affatto così diverse: l’antispecista, battendosi per l’eliminazione delle ingiustizie dovute alle barriere di specie, assume anche la lotta per il riconoscimento dei pieni diritti degli umani, senza prefiggersi “paletti” quali il sesso, l’orientamento sessuale, le condizioni fisiche e mentali, il ceto, l’etnia, la nazionalità e così via. È in antitesi, quindi, con ideologie xenofobe, discriminatorie, e ancora con autoritarismo e totalitarismi di qualsiasi orientamento politico, fondati sull’ideologia dell’oppressione e del dominio dell’uomo sull’uomo. Richard Ryder, psicologo britannico e pioniere della lotta per la liberazione animale soprattutto nell’ambito della sperimentazione scientifica, fu un teorizzatore di questo concetto postulando che le basi su cui si fondano speciamo e razzismo possano essere smontate attraverso argomentazioni affini e coniando il termine “painismo” nel 1990, in base a cui qualunque essere vivente che è in grado di provare dolore ha rilevanza morale. “Come l’antirazzismo rifiuta la discriminazione arbitraria basata sulla presunzione dell’esistenza di razze umane e l’antisessismo respinge la discriminazione basata sul sesso, così l’antispecismo respinge la discriminazione basata sulla specie (definita specismo) e sostiene che l’appartenenza biologica alla specie umana non giustifica moralmente o eticamente il diritto di disporre della vita, della libertà e del corpo di un essere senziente di un’altra specie” (Proposte per un manifesto antispecista).

Angela Davis e il veganismo

In occasione della conferenza On Revolution: A Conversation Between Grace Lee Boggs and Angela Davis del 2 marzo 2012, Angela Davis ha rilasciato un’intervista in cui mette in chiaro il rapporto tra il suo essere vegana e attivista: “Di solito non dico di essere vegan, ma le cose sono cambiate (…). La maggior parte delle persone non pensa al fatto che sta mangiando animali. Quando sta mangiando una bistecca o mangiando pollo, la maggior parte delle persone non pensa all’enorme sofferenza che gli animali subiscono solo per diventare i prodotti alimentari che vengono consumati dagli esseri umani.
Il cibo che mangiamo maschera così tanta crudeltà. Il fatto che siamo in grado di sederci e mangiare del pollo senza pensare alle terribili condizioni nelle quali nel nostro paese i polli vengono allevati a livello industriale è un sintomo delle insidie del capitalismo, di come il capitalismo ha colonizzato le nostre menti”.
“Penso – continua Angela – che ci sia una connessione tra, e non posso andare oltre questo, il modo in cui trattiamo gli animali e il modo in cui trattiamo gli umani che stanno ai piedi della piramide sociale”, ha chiosato. “Guardate come le persone che mettono in atto questa violenza su altri esseri umani hanno spesso imparato a metterla in pratica facendo violenza agli animali”.

Antispecismo, cosa significa?

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