Allevamenti: il Pulitzer nel 1996 a chi ne parlò per primo
Sono passati 20 anni dai primi articoli sulla correlazione tra allevamenti intensivi e inquinamento: il primo vinse il Pulitzer
Gli anni passano, ma nulla cambia. Era il 1996 quando Joby Warrick, Pat Stith e Melanie Sill vinsero il prestigioso premio Pulitzer per una serie di articoli per il The News and Observer sulla correlazione tra allevamento intensivo dei maiali e inquinamento.
Così comincia uno dei pezzi premiati: “Immagina una città grande come New York improvvisamente trapiantata nella pianura costiera del North Carolina. Raddoppia il numero. Ora immagina che questa città non abbia sistemi di scarico. Tutti gli sprechi di 15 milioni di abitanti sono semplicemente riversati in fosse aperte e sui campi. Ora metti al posto degli umani dei maiali, ma non devi immaginare in questo caso. E’ già qui, è quello che sta succedendo“.
I tre giornalisti dimostrarono, dati alla mano, come gli allevamenti intensivi, nati per massimizzare la produzione di carne al minimo costo e nel minor spazio possibile, danneggiassero (e danneggino) profondamente l’ambiente a causa dell’ingente utilizzo di risorse alimentari e idriche, provocando effetti terribili come inquinamento delle acque, uso delle terre, deforestazione, degradazione del suolo (estirpazione della vegetazione) ed emissioni di gas serra.
20 anni dopo siamo punto e a capo. Aumenta la consapevolezza da parte del consumatore (per il pasto e per la spesa), aumentano le manifestazioni, non mancano i reportage e le inchieste sul tema. Ma aumentano anche gli abitanti del pianeta, aumenta la domanda, aumenta l’offerta, aumenta il consumo di carne, aumentano quindi le criticità. Soprattutto, però, aumenta e stordisce il silenzio delle istituzioni che dovrebbero battersi per questo.
Nel 2014 Keegan Kuhn e Kip Andersen hanno realizzato un bellissimo documentario, “Cowspiracy“, per denunciare il devastante impatto ambientale degli allevamenti di carne e il silenzio delle più note e autorevoli organizzazioni ambientaliste (da Greenpeace a Oceana). Stando ai dati raccolti dai due registi, il 51% delle emissioni mondiali di gas responsabili dell’effetto serra proviene dall’allevamento del bestiame e dei loro sottoprodotti, 1/3 dell’acqua del pianeta viene utilizzata per la produzione di carne e 110 specie di animali ed insetti si estinguono ogni giorno a causa della deforestazione per far spazio alle coltivazioni di mais, grano e soia necessarie per nutrire gli animali da allevamento.
Le minacce ai due registi non sono mancate ma i due spiegano con fermezza: “Abbiamo paura, sì, ma è nulla rispetto alla necessità assoluta di parlare di quel che sta davvero succedendo”. E non a caso stanno portando avanti un secondo documentario insieme, “What the health“, per scoprire l’impatto degli alimenti di origine animale sulla nostra salute e perché le principali organizzazioni che si occupano di salute ancora sostengano l’industria.
Yuri Benaglio