Uova dall’inferno: altra indagine shock sulle galline allevate in Italia – Video
Le immagini sottratte dall’associazione in dieci allevamenti intensivi di galline situati in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto sono shockanti: secondo EA, per mettervi fine dobbiamo “rivedere i nostri consumi di uova”
Ancora immagini shock provenienti da allevamenti italiani, che mostrano realtà a dir poco aberranti: parliamo di un video realizzato fra il 2017 e il 2018, dall’associazione animalista Essere Animali in dieci allevamenti intensivi di galline situati in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto. Che si tratti di strutture che allevano gli animali in gabbia o “a terra”, la situazione risulta comunque disastrosa: qui sono rinchiuse oltre 34 milioni di galline – ben il 92% di quelle allevate in Italia – che vivono in condizioni estreme.
L’inferno delle gabbie
Selezionate geneticamente, alimentate con cibi iperproteici ed esposte alla luce artificiale, le galline diventano macchine ad alta produttività capaci di deporre fino a 300 uova l’anno, contro le 100 che riuscirebbero a fare in natura. Questi ritmi insostenibili e una vita di privazioni fanno sì che le galline si esauriscono presto: non appena la loro produttività cala – a circa 1 anno e 8 mesi di vita – sono mandate al macello, ancora giovanissime. Ma non è tutto, perché la produzione di uova ha altre “vittime nascoste”: i pulcini maschi, che non depongono uova e la cui carne è priva di valore commerciale “vengono uccisi negli incubatoi, tritati vivi come se fossero un rifiuto”, spiega l’associazione, che sottolinea inoltre che la quasi totalità delle uova che si trova in vendita, sia intere che utilizzate come ingrediente, sia nella grande distribuzione che nei piccoli supermercati sotto casa, non sfugge a queste pratiche crudeli.
L’insostenibile produzione di uova
Nel nostro paese gli allevamenti di galline più diffusi sono quelli in gabbia, circa il 60% sul totale, dove ogni animale ha a disposizione 750 cmq, un’area poco più grande di un foglio da stampante, nella quale non riesce nemmeno ad aprire le ali. Dal video si può vedere come gli animali versino in uno stato di profonda apatia, ma anche in condizioni di forte stress: quest’ultimo, in particolare, è la causa della plumofagia, una patologia che le porta a strappare le penne a se stesse o alle compagne. Frequenti sono anche i problemi alle zampe a causa della crescita incontrollata delle unghie, che non si consumano e si attorcigliano pavimento della gabbia, fatto di rete metallica.
Non è migliore la condizione negli allevamenti a terra, per i quali la legge invece impone che in un metro quadrato vi siano 9 galline: non ci sono gabbie, ma dalle immagini il sovraffollamento risulta evidente. La mancanza di luce solare, sostituita da quella artificiale, provoca anemia visibile, secondo gli esperti dell’associazione, “nelle creste abbassate e nelle zampe pallide, mentre il continuo contatto con la lettiera, che assorbe escrementi e urina, favorisce le infezioni agli arti inferiori”. In Italia solo l’8% delle uova proviene da allevamenti all’aperto o biologici, dove le galline hanno accesso a uno spazio all’aperto per alcune ore al giorno, ma in ogni caso anche questa produzione implica l’uccisione dei pulcini maschi e delle galline a fine ciclo.
“Negli allevamenti intensivi, sia in quelli in gabbia che in quelli a terra, documentiamo la presenza sistematica di galline spennate, ferite e di cadaveri spesso cannibalizzati dagli altri animali. Ripercussioni gravi non solo sul benessere animale, ma anche sotto il profilo sanitario”, sostengono i responsabili dell’associazione. Cosa possiamo fare tutti noi, quindi, per mettere fine a questo orrore? Per cambiare le cose, spiegano i portavoce di Essere Animali, non è sufficiente rifornirsi dal “contadino di fiducia”, ma è necessario rivedere i nostri consumi: “Ogni italiano – conclude infatti l’associazione – mangia circa 140 uova l’anno, a cui si aggiungono altre 76 uova utilizzate come ingredienti in pasta e dolci già pronti. Con questi numeri, è necessario l’allevamento intensivo”.