Peter Singer: il profeta della liberazione animale – Video
Conosciamo meglio la vita e il pensiero di uno dei personaggi più discussi e influenti del nostro secolo sul tema che lo ha accompagnato tutta la vita: l’antispecismo e la scelta vegana
Giudicato dal Times tra le 100 personalità più influenti del mondo nonché inserito nella top 10 dei “world’s global thinkers” del Gottlieb Duttweiler Institute assieme al fisico Stephen Hawking, allo psicologo Daniel Kahneman e all’economista Joseph Stiglitz, Peter Singer è senza dubbio uno dei filosofi viventi più importanti del panorama contemporaneo. Personaggio scomodo ma altrettanto affascinante e carismatico, noto al pubblico soprattutto come il “profeta della liberazione animale” nonostante le sue riflessioni non si fermino ai diritti degli animali ma abbraccino ampie problematiche nel campo dell’etica e in particolare dell’etica applicata, che vanno dal rispetto per l’ambiente, all’aborto, dall’eutanasia, all’etica politica, dalla cattiva distribuzione della ricchezza, alla responsabilità dei paesi ricchi verso il Terzo Mondo: un articolato sistema di pensiero sicuramente tra i più innovativi e coraggiosi del nostro tempo.
Singer è nato nel 1946 a Melbourne da una famiglia di ebrei viennesi scappati durante la seconda guerra mondiale. Dopo gli studi in legge, storia e filosofia presso l’Università di Melbourne, nel 1969 ottiene una borsa di studio presso l’Università di Oxford dove otterrà il bachelor in filosofia. Da qui ha inizio la sua carriera accademica presso i più importanti atenei del mondo tra cui Princeton (dal 1999; un’assunzione che il New York Times giudicò come la più grossa disputa accademica da quando l’università americana tentò di assoldare il famigerato difensore dell’amore libero, Bertrand Russell) e la Melbourne University (dal 2005).
Il pensiero antispecista
Quando si parla di Peter Singer non si può non fare cenno alla sua opera principale: “Liberazione animale” del 1975.
Si tratta di una pietra miliare nell’evoluzione del movimento animalista ma anche della storia del pensiero moderno perché pone l’essere umano di fronte alla necessità di estendere al suo rapporto con le altre specie viventi i princìpi di decenza, equità e giustizia: per la sopravvivenza propria e del pianeta.
Si è spesso alzata una bufera di commenti negativi e proteste contro il parallelismo che Singer ha proposto tra ideologia nazista e specismo, tra i campi di sterminio e i macelli di animali. L’immagine, per quanto forte, ci è utile per capire un concetto fondamentale del suo pensiero: che esista cioè una stretta associazione tra i vari tipi di violenza (contro un’altra etnia, contro le donne, contro le minoranze in genere e anche contro gli animali) basata sullo stesso pregiudizio di superiorità della propria specie a scapito di un’altra. È opinione comune, sempre secondo Singer, che solo agli esseri umani possa essere attribuita una completa considerazione morale. Da ciò nasce la presunzione di poter disporre delle creature non umane per il bene della specie umana, l’unica meritevole di rispetto.
La posizione controversa sul veganismo
Molte delle dichiarazioni e delle prese di posizioni di Singer, muovendosi sempre in terreni delicatissimi e complessi, sono state oggetto di polemiche e letture spesso distorte. Tra le altre, gli è stato contestato di aver abbracciato uno stile di vita “solamente” vegetariano e non pienamente vegano. Una scelta morale non pienamente in linea con le sue teorizzazioni sullo specismo e lo sfruttamento.
In un’intervista del 2006 a The Vegan, Singer afferma:
Per evitare d’infliggere sofferenze agli animali – per non parlare dei costi ambientali della produzione intensiva – abbiamo bisogno di diminuire drasticamente il consumo di prodotti d’origine animale. Ma questo vuol dire un mondo vegan? Potrebbe essere una soluzione, ma non necessariamente la sola. E’ la sofferenza inflitta che ci preoccupa, più che l’uccisione, allora posso anche immaginare un mondo nel quale la gente mangia soprattutto cibo vegetale, ma occasionalmente si regali il lusso di uova da galline allevate a terra, o forse perfino carne da animali che hanno vissuto bene, in condizioni naturali per la loro specie, e sono abbattuti umanamente in fattoria.
Nell’intervista del maggio 2006 all’organizzazione indipendente Mother Jones, Singer afferma:
C’è un po’ di posto per l’indulgenza nella nostra vita. Conosco persone che sono vegan a casa ma se vanno in un ristorante particolare si concedono il lusso di non essere vegan quella serata. Non ci vedo veramente nulla di male.
Non mangio carne. Sono vegetariano dal 1971. Sono gradualmente diventato sempre più vegan. Sono molto vegan ma un vegan flessibile. Non vado al supermarket per comperare cose non vegan per me stesso. Ma quando viaggio o vado a casa di qualcuno sono ben contento di mangiare vegetariano anziché vegan.
Nell’ottobre 2006 in un’altra intervista alla rivista Satya, Singer dichiara:
Quando faccio la spesa per me stesso acquisto vegan. Ma quando viaggio ed è difficile reperire cibo vegan in alcuni luoghi o per difficoltà varie, sono vegetariano. Non mangio uova se non sono da galline allevate a terra, ma solo se lo sono. Non ordino un piatto pieno di formaggio, ma non mi preoccupo per esempio se un curry vegetale indiano è cucinato con il ghee.
Singer argomenta inoltre che ci sono occasioni in cui abbiamo quasi l’obbligo morale di non essere vegan:
Penso che sia più importante provare a produrre un cambio verso la giusta direzione che essere personalmente puri. Così quando state mangiando con qualcuno in un ristorante e il piatto vegan che avete ordinato arriva con un po’ di formaggio grattato sopra, qualche volta i vegan ne fanno una gran questione e lo rimandano indietro e questo può significare del cibo sprecato. E se siete in compagnia di gente non vegan e nemmeno vegetariana, penso che sia una cosa sbagliata. Sarebbe meglio limitarsi a mangiare, perché la gente poi pensa “Oh mio dio questi vegan….”.
Il veganismo welfarista
Da questa serie di interviste appare chiara la posizione di Singer in merito alla questione. Secondo lui gli animali (con l’eccezione dei primati non umani e forse poche altre specie) non hanno consapevolezza di sé e non si rendono davvero conto di essere usati ma solo del come vengono usati. Questo porta Singer a dire che potrebbe essere moralmente accettabile essere “onnivori consapevoli“, cioè attenti a mangiare solo animali che siano stati allevati e uccisi “in modo umano”: è l’assioma del “veganismo welfarista”, di coloro cioè che non vedono l’uso degli animali come un problema primario ma pensano che ciò possa essere accettabile se perpetrato in modo rispettoso, consono e civile. I welfaristi che promuovono il veganismo argomentano che è effettivamente difficile ricavare prodotti animali in modo moralmente accettabile, e che quindi la scelta vegan è fondamentale ma si può essere flessibili e mangiare anche non-vegan. Dal momento che i welfaristi sono focalizzati sul trattamento piuttosto che sull’uso in sé, fanno campagne per promuovere le uova da galline “non in batteria” o abolire le casse da gestazione per le scrofe di modo che i prodotti così ricavati dagli animali non comportino sofferenze e privazioni per gli stessi.
Il veganismo abolizionista
Più severo si mostra invece il “veganismo abolizionista” che, fondandosi su una base morale non negoziabile, aborrisce ogni forma di strumentalizzazione, uso e ovviamente uccisione di specie non umane anche se effettuati in maniera, per così dire, “etica”.
Autorevole esponente di questo approccio è Gary Francione, attivista per i diritti animali, docente di filosofia e di diritto presso la Rutgers School of Law-Newark e promotore della Rutgers Animal Rights Law Clinic, il primo corso di diritti animali nelle facoltà di giurisprudenza. Francione teorizza l’obiettivo della liberazione animale in toto, bypassando ogni forma di welfare o sfruttamento “felice” foraggiando la diffusione di una filosofia che guardi all’animale non-umano come soggetto e non come oggetto e di un approccio nonviolento alla realtà.
L’approccio abolizionista ha molte componenti. La prima è che affinché un essere vivente non venga trattato come una mera “risorsa”, lo status di essere senziente è l’unica caratteristica che veramente conti qualcosa. Altre caratteristiche cognitive sono irrilevanti. Di conseguenza, se un essere vivente è senziente, abbiamo l’obbligo morale di non trattarlo come un oggetto a disposizione dell’essere umano. Personalmente rigetto quegli approcci che sostengono, ad esempio, che gli elefanti abbiano più valore morale delle galline perché i primi mostrano un’intelligenza più simile a quella umana. Penso che questo ragionamento sia una forma di specismo.
L’approccio abolizionista rifiuta questo, così come rifiuta le riforme welfariste e di regolazione come strategie, promuovendo e sostenendo invece il veganismo come un approccio creativo e nonviolento per la liberazione animale. Inoltre l’approccio abolizionista vede i diritti animali e i diritti umani come strettamente intrecciati. In definitiva l’abolizionismo ha un approccio nonviolento come principio fondamentale.
“La cosa migliore che tu puoi fare”
«Le tesi di Singer sono potenti, provocatorie e giuste. Il mondo sarebbe un posto migliore, se riflettessimo anche sul modo in cui facciamo beneficenza, oltre che sul modo in cui guadagniamo».
Nicholas Kristof, New York Times
Nel suo ultimo libro Peter Singer spiega il concetto rivoluzionario di “altruismo efficace”, cioè il principio secondo cui vivere una vita pienamente etica significa agire “nel miglior modo possibile” adottando un punto di vista rigorosamente razionale sui comportamenti generosi e sulle attività di beneficenza, a livello individuale e in società. Ricco di esempi pratici e testimonianze di persone e organizzazioni che già si stanno muovendo nella direzione di un cambiamento sociale, il saggio si rivolge a tutti coloro che vorrebbero agire per migliorare il pianeta, ma non hanno ancora gli strumenti per farlo nella vita di tutti i giorni.
“La cosa migliore che tu puoi fare. Cos’è l’altruismo efficace” P. Singer Edizioni Sonda