Fast Food Nation
“Se per mille anni mangeremo hamburger e patatine diventeremo più alti, ci verrà la pelle bianca e avremo i capelli biondi”: Den Fujita, miliardario che negli anni ’70 portò McDonald’s in Giappone, spiegò così il suo sogno ai suoi connazionali ma con questa frase, che può apparire folle, riassume una delle verità più amare che emergono dalla lettura di “Fast Food Nation” inchiesta giornalistica, durata ben tre anni, condotta da Eric Shlosser, giornalista americano corrispondente dell’Atlantic Monthly.
Il libro è complesso, ricco di dati, numeri e riscontri nati dalla ricerca sul campo (cosa sempre più rara): l’obiettivo di Shlosser è raccontare come i fast food abbiano modificato, negli Stati Uniti, non solo la dieta dei cittadini ma anche il territorio, l’economia, il concetto di lavoro e persino la cultura popolare.
Un cibo che cambia la cultura
Lo sviluppo delle autostrade negli Usa è collegato a quello dei fast food, il consumo di suolo e la nascita di quartieri popolari è legato alle nuove sedi delle catene di cibo veloce, l’immigrazione dal Sud America e il concetto di lavoro a basso costo nel settore della lavorazione della carne sono legate ai ritmi di produzione legati alla richiesta dei prodotti “fast” da parte delle catene di negozi. Tutto è collegato. Shlosser racconta delle sue scoperte sul mondo complesso del marketing, soprattutto quello legato ai bambini: si parte con i libri scolastici sponsorizzati da grandi multinazionali che lanciano messaggi ambigui sui consumi alimentari, arrivando alla televisione. Sono 21 le ore che in media, secondo i dati forniti nel libro, un bambino americano trascorre davanti alla tv alla settimana e 30mila in media gli spot che vede: è lì che l’industria del fast food colpisce, martella. Prodotti e servizi pensati per i bambini, testimonial, parchi gioco, giocattoli regalati insieme al cibo. E i bambini trascinano i consumi, trascinano i genitori.
Pericolo ed inganno
Sono “bambini” anche quelli che, spesso poco più che adolescenti, lavorano dietro ai banconi delle grandi catene di fast food: pochi dollari per turni faticosi,
nessuna formazione professionale che si trasforma in un grande rischio per il consumatore ma anche per gli stessi lavoratori alle prese con friggitrici, piastre e macchinari. Il rischio sul lavoro è un tema importante in “Fast Food Nation”: l’industria della carne è uno dei settori più pericolosi. Quando, infatti, si usa il coltello per macellare ogni 2 o 3 secondi, con una media di 10mila tagli in 8 ore di lavoro, gli incidenti sul lavoro non sono solo numeri, ma realtà.. Ed infine il cibo, la sua qualità: Shlosser racconta con sguardo quasi infantile la sua visita ad una delle industrie che producono aromi per il cibo (la stessa che produce anche profumi famosissimi).“Aromi naturali” come quello estratto dalle banane con l’aiuto di un solvente, oppure il fetil-2-metilbutirato, aroma artificiale che riproduce esattamente il sapore di mela. Condizionare o ingannare l’olfatto non è un’azione innocente, ricorda Shlosser, perché il nostro senso del profumo si è sviluppato anche per impedirci di consumare cibi che il nostro cervello riconosce come “dannosi” per la salute, ma se questi non esistono più, o meglio, sono costruiti, riconoscere ciò che è buono e ciò che non lo è diventa difficile.
“Fast Food Nation” è un libro da leggere per documentarsi, per capire che dietro ad una pepita di carne di pollo fritto, non solo c’è un pollo appositamente creato con un petto più grande, ma anche una società, un modo di mangiare che consuma suolo, cambia il modo di educare i più piccoli, di stare (o non stare) a tavola, di considerare la propria salute e che incentiva lo sfruttamento del lavoro di tanti, insomma una cultura alimentare sbagliata per molti motivi che non hanno certo a che vedere solo e soltando con la scelta di non consumare carne.
Fast food nation: Il lato oscuro del cheeseburger globale
Eric Shlosser
Il Saggiatore
euro 9,80
Federica Giordani