“E voi, che fine ha fatto il vostro cuore?”, il grido di Olga Tokarczuk
In uno dei suoi libri più famosi, la scrittrice polacca premio Nobel racconta il senso di ingiustizia di chi avverte sulla propria pelle il dolore della violenza esercitata sulla Natura e gli animali
“Avete perso la ragione? E il cuore? Ce lo avete ancora il cuore?”. Quello che state leggendo è il grido di Janina, la donna protagonista di uno dei più famosi romanzi di Olga Tokarczuk, Guida il tuo carro sulle ossa dei morti (dal quale è stato tratto anche il film Potok), nel quale la scrittrice premio Nobel polacca esplora il tema potentissimo del senso di ingiustizia vissuto da una donna che ha compreso e sentito il dolore della natura e degli animali attorno a sé. Un libro che ha i tratti del giallo, ma che è un’opera immensa su temi fondamentali.
La sua voce, la loro voce, rimarrà nelle vostre ossa, le stesse di cui parla il titolo – che cita William Blake. Qui Janina, ex ingegnere di ponti e poi insegnante di inglese nella campagna di una Polonia fredda e ostile come una cella frigorifera, è in chiesa e sta gridando la propria esasperazione davanti al pulpito che ospita una predica a favore della caccia. “Gli animali non hanno anima, non preghi per loro”, risponde il parroco a Janina che non riesce a capire perché il male e il bene, così facili da comprendere quando la differenza sta fra l’uccidere un animale e non farlo, siano invece così complicati da distinguere per tutti gli altri tranne che per lei. Una ragazza cerca di calmarla ma le spiega: “Signora, lei non ha ragione. Ci sono regole e tradizioni, e noi ci siamo dentro. Non si può rifiutare tutto in un colpo solo…”.
L’ingiustizia
Tokarczuk è stata insignita del premio Nobel per la letteratura nel 2018, Guida il tuo carro sulle ossa dei morti è del 2009, eppure già allora la grandezza di questa autrice era chiara. In questo romanzo, la cui trama di base – semplificandola – potrebbe essere ricondotta al genere giallo, il tema preponderante è quello dell’ingiustizia, del carico che cade sulla nostra testa quando arriva la comprensione di una notte morale globale che, una volta vista, non può più farti voltare la faccia dall’altra parte.
La storia inizia quando nel piccolo paese dove Janina vive sola circondata da alcuni amici e da un vicino di casa che lei chiama “Bietolone”, avvengono alcuni omicidi efferati: un uomo viene trovato morto nel suo capanno; i corpi di alcuni cacciatori uccisi in modo brutale vengono trovati proprio da Janina e dal suo amico Dyzio in mezzo a un bosco. Attorno ai corpi, sempre, le tracce di alcuni cervi. Janina sa che sono stati gli animali a compiere quei delitti, ne è certa quando anche il capo della polizia del paese viene trovato morto con la testa sfondata accanto d un pozzo.
Ma quello che questa donna, protagonista diversa dai canoni ai quali siamo spesso abituati, sta cercando sono giustizia e comprensione ma non li trova. Janina è certa che giustizia sia stata fatta perché troppo brutale è stata la crudeltà che quegli stessi uomini, tutti cacciatori, hanno perpetrato agli animali che vivono sulla Terra silenziosi come spettri in un mondo che non ne contempla più la presenza.
Janina cerca una risposta, si interroga e interroga le stelle della sua amata astrologia per cercare razionalità a quello che vede e sente, ma senza riuscirci. “Il turbamento – dice – arriva dalla comprensione”. Ma il suo turbamento e la sua rabbia sono le nostre. Il sistema stolido – rappresentato dal piccolo comando di polizia e dalla comunità religiosa della sua città – contro il quale sbattono i sentimenti di Janina è come una teca di vetro stretta e alta nella quale qualcuno sta versando litri di acqua, nel tentativo di annegarci di tradizione, senza farci gridare che quello che vediamo, la banalità del male, è lì davanti a noi. “Un Essere ne aveva mangiato un altro, in tranquillità, di notte, in silenzio. Nessuno aveva protestato, non era caduta nessuna saetta”, spiega Janina mentre ripercorre quello che accade nel capanno della prima vittima dove fanno orribile mostra di sé una testa di cervo e i resti delle sue zampe, scarti di un pasto consumato in fretta. L’essere umano ha “perso il potere di vigilare” e il crimine che Janina vede è riconosciuto come normalità.
La follia e la normalità
Questo romanzo, come tutte le grandi narrazioni, è denso e vischioso, si incolla addosso con i suoi toni anche ironici e leggeri, con una prosa tradotta perfettamente e con un parco di personaggi che in parte diventano tuoi amici intimi e in parte tuoi nemici giurati. Affronta decine di argomenti, oltre a quelli della violenza contro la Natura. Il tema dell’amicizia e delle sue forme complesse, che non possono essere ridotte mai a stereotipi; il tema della normalità e delle convenzioni come gabbie senza senso nelle quali ci infiliamo senza motivo, spesso solo per pigrizia mentale; racconta del ruolo della donna e della costante necessità di chi, non volendosi adeguare, deve dimostrare dieci volte di più il proprio valore; racconta del legame che può stringersi fra un essere umano e gli animali, cani compresi. Racconta di un pezzo della vita di Janina Duszejko, una donna che vorremmo abbracciare e ascoltare per ore e alla quale vorremmo raccontare, davanti ai suoi meravigliosi piatti di zuppa calda, che non è sola e che quella rabbia la sentiamo anche noi.