Intervista alla filosofa Lisa Kemmerer: “Wet markets e allevamenti dovrebbero diventare storia”
La pandemia sta mostrando la vera pelle della società, mettendo a nudo problemi, diseguaglianze e modelli sbagliati. L’autrice americana spiega il suo punto di vista
Professoressa di filosofia presso l’Università del Montana, Lisa Kemmerer è una famosa attivista per i diritti degli animali e da anni tiene conferenze e lectio negli Stati Uniti. Il suo libro pubblicato in Italia da Safarà, Mangiare la terra, è un testo denso che mette in risalto il ruolo delle nostre scelte alimentari e approfondisce il tema della responsabilità.
Nel suo libro lei parlò della responsabilità della scelta etica e vegana per il suo impatto sugli animali e sull’ambiente: sembra che il tema della “scelta” ora sia più attuale che mai.
La nostra responsabilità morale è sempre quella di scegliere, per quanto possibile, le opzioni che causano meno danni. Qualunque cosa accada, questo non cambia.
Lo scenario futuro è incerto per tutti, ma molti criticano il concetto di “ritorno alla normalità”.
Il comportamento generale è proprio questo: manca completamente di riflessione e di radicamento in qualcosa di più dell’abitudine e della tradizione. Non incoraggerei affatto nessuno a ricadere in schemi familiari nel “dopo Covid”. Perché non imparare qualcosa e cambiare in modo convinto e volontario piuttosto che sempre sulla scia di drammi ed emergenze come quella del cambiamento climatico?
Cosa ne pensa dei wet markets?
Ovviamente, i mercati non sono affatto una buona idea per una serie di ragioni, una delle quali è che possono diffondere virus che uccidono le persone, lo abbiamo visto. Questo, tuttavia, è un motivo esclusivamente egoistico per porre in essere un cambiamento del nostro modo di comportarci come specie. Sarebbe meglio comprendere a pieno che questi mercati non sono essenziali per la nostra sopravvivenza, che danneggiano e distruggono la vita degli animali che vorrebbero vivere la loro vita senza interferenze umane, sfruttamento e distruzione; sarebbe molto bello che i wet markets diventassero solo un lontano ricordo da annoverare nei libri di storia. Ma naturalmente questo non è meno vero per gli allevamenti intensivi e i negozi di animali, gli acquari e i laboratori di ricerca. Non è meno vero in Cina che negli Stati Uniti.
Ci sono delle “lezioni” che sono emerse da questo stato di emergenza?
Sì, sicuramente, quello che stiamo imparando va ben oltre i limiti dell’aspetto etologico e medico. Potremmo mettere in discussione, per esempio, i progressi sulla tanto discussa “uguaglianza” e il motivo per cui essa è ancora davvero molto lontana dall’essere stata raggiunta. I senzatetto e i detenuti si sono dimostrati particolarmente vulnerabili in questa pandemia. E domandiamoci, allora, perché ci sono così tanti senzatetto e prigionieri – specialmente fra le minoranze – negli Stati Uniti? Sono morte molte più persone di colore nel mio paese che bianchi a causa di questo virus.
Sono stati in gran parte i privilegiati che hanno viaggiato per il mondo a portare a spasso questo virus, ma i costi sono ricaduti in modo sproporzionato sui poveri e gli emarginati. Questa pandemia ci ha dimostrato che le persone il cui corpo è in qualche modo già minacciato sono quelle che rischiano di più. Ho sentito un giovane ragazzo bianco dire che aveva intenzione di fare festa nonostante il virus e di continuare la sua vita come sempre, perché aveva capito che stavano morendo soprattutto vecchi e persone debilitate – si sentiva al sicuro.
Cosa fare ora?
Potremmo fare un passo indietro collettivo dalla morsa del capitalismo, riflettendo su cosa significhi guadagnarsi da vivere in relazione all’avere una vita. E se le tasse americane fossero investite nei trasporti pubblici, nella sanità e nei parchi nazionali invece che nelle bombe? L’allontanamento sociale ci ha condotto ad avere meno fretta, a fare meno acquisti e ad avere più tempo da dedicare ai legami più importanti. Forse la formula è proprio questa: ripensare, riflettere sul valore delle cose e delle vite, tutte.