Le pandemie sono collegate al nostro modo di mangiare: dobbiamo cambiare rotta
Quello che stiamo vivendo a causa della pandemia da Coronavirus è immediatamente legato al modo in cui stiamo trattando le risorse del pianeta, compreso il modo in cui ci alimentiamo.
——-Stiamo raccogliendo in questo articolo tutti gli interventi nazionali e internazionali pubblicati sul tema della correlazione fra i nostri stili di vita e le pandemie. L’articolo, perciò, è in continuo aggiornamento. La redazione ——-
1 Aprile 2020
Anche Compassion in World Farming (CIWF) Italia Onlus associazione italiana no profit che lavora per la protezione e il benessere degli animali allevati a scopo alimentare, è intervenuta sul tema della relazione fra le pandemie e l’allevamento degli animali. “Ogni anno ne alleviamo 75 miliardi in tutto il mondo e circa 600.000 solo in Italia. La loro concentrazione in specifiche aree geografiche, come accade nella nostra Pianura Padana, l’alto livello di stress causato dalle condizioni in cui vengono allevati e il fatto di essere molto spesso geneticamente selezionati al solo scopo di essere più produttivi, facilitano l’indebolimento del sistema immunitario degli animali, creando le condizioni ottimali per favorire la proliferazione e diffusione di virus e batteri zoonotici potenzialmente sempre più virulenti, che possono poi essere causa di epidemie e pandemie. Secondo lo US Centres for Disease Control and Prevention (CDC) tre su quattro delle nuove infezioni e malattie virali provengono dagli animali. Inoltre anche il tema de il rischio cresce con l’aumentare del numero di animali e la densità a cui sono allevati (cioè lo spazio disponibile per ogni singolo animale). Tenere gli animali rinchiusi ad alte densità, non può rappresentare la soluzione perché nessuna profilassi di biosicurezza può assicurare un rischio di contaminazione uguale a zero, in altri termini, non si può avere la totale certezza che i patogeni non si disperdano all’esterno. Nel caso dell’influenza aviaria, per esempio, uno studio ha rivelato la presenza dei virus fuori dai capannoni che ospitavano animali infetti. Quando destiniamo agli animali 100 calorie di cereali che sarebbero edibili per l’uomo, queste vengono convertite in prodotti di origine animale capaci di fornire tra le 17 e le 30 calorie, si capisce chiaramente si capisce chiaramente che la pressione enorme che stiamo esercitando sugli ecosistemi non è un sistema efficiente per garantire un cibo di qualità per una popolazione globale in continua crescita”.
30 Marzo 2020
Etologa e antropologa inglese di fama mondiale, Jane Gooddal, è intervenuta con un video sul tema della nostra responsabilità rispetto all’emergere violento dell’attuale pandemia di Coronavirus: “Sono vicina a tutte quelle popolazioni che stanno soffrendo terribilmente per questa situazione ma mi auguro anche che l’incubo finisca anche per gli animali selvatici catturati e detenuti in condizioni terribili per il nostro cibo, per il nostro divertimento o perché alcune persone credono che alcune delle loro parti possano essere usate per curare malattie o aumentare la virilità; questi animali sentono come noi, i loro sentimenti sono gli stessi: hanno paura, si sentono soli. In ogni parte del mondo stiamo devastando la natura e la crisi climatica è una risposta chiara ai nostri comportamenti. La Goddal infine ha concluso con un messaggio di speranza “Siamo una specie capace di grande compassione e di amore fra di noi, mostriamo di essere in grado di estendere amore e compassione anche agli animali che vivono con noi su questo pianeta”.
29 Marzo 2020
Durante la trasmissione “Indovina chi viene a cena” intitolate “Il virus è un boomerang” sono state analizzate le cause principali e storiche della diffusione delle pandemie. L’analisi si è poi concentrata sulla pandemia attuale, quella dovuta al SARS-CoV-2. Fra gli intervistati ecco il dottor Moreno Di Marco, ricercatore del Dipartimento di Biologia e Biotecnologia “Charles Darwin” della Sapienza di Roma. La sua analisi è chiara rispetto ai collegamenti fra l’attuale forma di Coronavirus e gli allevamenti intensivi: “La colpa è chiaramente dell’uomo e non dell’animale: il problema è il modo in cui l’uomo di interfaccia e utilizza queste specie. Il primo punto è la vicinanza fisica degli allevamenti alle zone selvatiche. In questo modo gli animali hanno più probabilità di entrare in contatto con gli animali selvatici, portatori dei virus, e fare da specie amplificatrice per arrivare all’uomo; in secondo luogo la distruzione e la caccia di specie selvatiche e la distruzione degli habitat ci hanno portato a situazioni come quella che stiamo vivendo ma anche alla storia delle pandemie del passato”. Come ha sottolineato l’OMS, dei 30 nuovi patogeni scoperti negli ultimi 30 anni dai ricercatori, il 75% arriva proprio dagli animali. “Se parliamo di rischi di pandemie – ha spiegato Di Marco – il vero rischio sta nelle specie di virus che ancora non conosciamo: sono fra le 630 e le 830 mila, secondo una stima. Questi sono quelli che hanno potere zoonotico, ossia che possono infettare l’uomo”.
27 Marzo 2020
Inger Andersen è il direttore esecutivo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente UNEP. In un’intervista al quotidiano “The Guardian” ha spiegato la sua posizione rispetto al tema della relazione fra l’attuale pandemia e il ruolo dell’uomo: “Stiamo giocando con il fuoco. La continua pressione che stiamo esercitando sulla Natura, credendo di non farne parte è pericolosissima. Per prevenire ulteriori epidemie, come hanno detto gli esperti, sia il riscaldamento globale che la distruzione del mondo naturale ai fini dell’agricoltura, l’estrazione mineraria e l’edilizia abitativa devono finire, in quanto entrambi spingono la fauna selvatica a contatto con le persone. Se non ci prendiamo cura della natura, non potremo prenderci cura di noi stessi”.
27 Marzo 2020
Paul Shapiro, vice presidente dell’associazione per i diritti animali Humane Society for the United States, è intervenuto sulla questione sulle pagine online della rivista Scientific America. “Mentre biasimiamo la Cina, e dal nostro Occidente scuotiamo la testa con fare moralista nei confronti dei mercati umidi cinesi (luoghi affollatissimi e all’aperto nei quali animali di tutte le specie, soprattutto selvatici ma non solo, vengono venduti vivi e poi macellati al momento) – scrive Shapiro – ciò che ci è più difficile fare è essere onesti con noi stessi su quali tipi di pandemie possiamo provocare anche noi con le nostre pratiche di utilizzo degli animali“. Insomma la sintesi è: inutile spostare il problema sui pipistrelli o i pangolini, cacciati illegalmente da 70 anni, se poi non ci ricordiamo che Aviaria e Sars sono arrivate da polli e suini da allevamento. Shapiro conclude: “Diversificare i nostri metodi di produzione della carne non solo ci offrirebbe la possibilità di ridurre il rischio di pandemia riducendo il numero di animali vivi che dobbiamo allevare per il cibo, ma potrebbe anche contribuire a mitigare numerosi altri rischi. Che si tratti di cambiamento climatico, resistenza agli antibiotici, deforestazione, benessere degli animali o altro ancora, i vantaggi dell’ampliare il nostro portafoglio proteico sono molteplici”.
25 Marzo 2020
Anche il naturalista e geologo Mario Tozzi, un una recente intervista al quotidiano “La Repubblica” ha spiegato la medesima questione: “Le pandemie degli ultimi anni sono determinati dalle nostre azioni scriteriate: è indubbio. Non lo dico io, bensì gli articoli delle riviste scientifiche internazionali, mettendo in luce dei passaggi caratteristici. Il primo passo sono le deforestazioni: quando tagli le foreste per fare spazio agli allevamenti intensivi o alle periferie delle grandi città, liberi gli animali che vanno verso le aree urbane o dove ci sono animali da allevamento o che sono allevati, macellati e venduti per l’alimentazione: è lì che avviene il famoso salto di specie”. Questi sono casi certificati, dice Tozzi, non c’è ironia da fare: “E’ davvero così: pensiamo alla Mers, alla Sars, ad Ebola. L’origine è sempre il nostro allargamento in zone che non ci competono. E’ tutto determimato da noi”.
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In una recente diretta insieme a Marco Montemagno, la professoressa Ilaria Capua, virologa e docente presso l’Università della Florida in merito alla situazione SARS-CoV-2, ha spiegato: “Noi siamo parte del problema, siamo entrati in luoghi che per noi dovrebbero rimanere inaccessibili, abbiamo catturato degli animali, li abbiamo messi a convivere, vivi, con specie con le quali non sarebbero mai entrati in contatto, li abbiamo macellati, ed ecco che un virus che era tipico di quegli animali ha fatto quello per cui è stato programmato: propagarsi, ma ad una velocità concessagli solo da noi, dal nostro continuo spostarsi ed essere in contatto”.
Anche l’autore del libro più gettonato del momento, “Spillover“, il divulgatore scientifico David Quammen in una recente intervista su Rai2, ha spiegato chiaramente che dopo i suoi 6 anni di ricerche per scrivere un libro dedicato alle pandemie e al modo in cui dagli animali i virus arrivano all’uomo, la sola conclusione è che la responsabilità è della nostra specie: “Noi siamo tutti parte della natura e dell’ecosistema, il nuovo virus arriva da animali non umani selvatici che fanno parte di un sistema diverso dal nostro e che hanno una pletora di virus che però sono singoli e specifici per ogni specie. Quando noi mescoliamo ambienti diversi, specie diverse, deforestiamo, sconvolgendo gli ecosistemi, noi umani diventiamo degli ospiti alternativi per questi virus”.
Sul giornale Independent, Steve Blake rappresentante capo di WildAid a Pechino, associazione internazionale che si occupa di cercare di porre un freno al traffico di animali selvatici cacciati e portati spesso all’estinzione a fini anche alimentari, ha spiegato chiaramente la connessione fra SARS-CoV-2 e le modalità predatorie dell’uomo: “I mercati umidi cinesi, dove animali di specie diversissime vengono messi insieme e macellati sul posto, sono vere bombe epidemiologiche. Il 60% delle malattie infettive registrate a livello mondiale, arriva dagli animali e dei 30 nuovi patogeni scoperti negli ultimi 30 anni dai ricercatori, il 75% arriva proprio dagli animali“.
“Quello che mangio è una scelta personale”
Ora più che mai diventa chiarissimo che quello che decidiamo di mangiare e la catena di attività che sono necessarie per produrre quel cibo, non è affatto una scelta personale e che questo ha conseguenze gravissime anche su di noi. Il virus dell’attuale pandemia, è stato confermato, arriva dai pipistelli, animali ritenuti prelibatezze culinarue insieme a serpenti, topi e pangolini nella cultura alimentare asiatica. Ma ricordiamoci che l’influenza Aviaria del 2003 così come la Suina del 2009 arrivano da animali allevati e considerati “edibili” dalla nostra cultura, quella occidentale. Gli animali allevati o detenuti in condizioni completamente innaturali dal punto di vista etologico e ecosistemico, sono una delle fonti di virus che possono mettere a repentaglio non solo la nostra vita, ma anche la nostra intera economia.
A spiegare il modello è proprio WWF che in un recente documento pubblicato online, “Pandemie e distruzione degli ecosistemi”: quando distruggiamo le foreste mettiamo in modo una catena di conseguenze incredibili. Gli animali sono costretti a cambiare habitat, oppure si estinguono costringendo i propri predatori a spostarsi in cerca di cibo; migliaia di batteri e virus vengono liberati nell’aria quando tagliamo alberi e sconvolgiamo i panorami; quando mescoliamo fra loro specie che in natura non si incontrerebbero mai, violiamo un patto e un equilibrio precario e fragilissimo, all’interno del quale viviamo anche noi.
Il professor Stefano Mancuso che dirige il Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale, in una recente diretta per la maratona Instagram “Prendiamola con filosofia” organizzata dalla casa editrice Tlon, ha spiegato che “Queste epidemie sono frutto della nostra sconsideratezza, del nostro atteggiamento predatorio, che è tipicamente animale, nei confronti della natura. Noi abbiamo la presunzione di essere i dominatori del pianeta, ma non c’è una base biologica che confermi questo punto di vista. Il nostro grande cervello non ha senso se grazie ad esso non creiamo un miglioramento delle condizioni per il nostro propagarsi. Noi siamo una specie giovane, 300 mila anni rispetto ad una vita media sul pianeta di 5 milioni di anni delle altre forme di vita. Il nostro più grande errore è stato quello di pensare di essere astratti dalla Natura, che ne possiamo fare a meno, idea sbagliatissima. Basta un piccolo virus per farci capire che il nostro posto è immerso dalla Natura. La vita è solo una questione di reti e di relazioni, tutti siamo collegati: ciò che va salvaguardato è la comunità. Crediamo che sia la competizione a governare il mondo, ma non è affatto così. L’evoluzione funziona per cooperazione, invece”.
Questa pandemia ci sta mettendo davanti una realtà che non volevamo vedere: sfruttare risorse finite e che non abbiamo per produrre in modo infinito non è un modello possibile. La crisi (climatica e ora pandemica) è già in atto e dobbiamo, è necessario cambiare la nostre abitudini di tutti i giorni per fare in modo di tornare lentamente a cooperare con la Natura. Uno dei primi passi è smettere di mangiare carne e derivati che sono una delle produzioni più insensate e pericolose per il nostro pianeta in assoluto, creando una catena di conseguenze che vanno dalla deforestazione selvaggia ai fini di recuperare spazio per allevamenti e coltivazioni per foraggiare gli animali da “reddito”, passando per l’inquinamento atmosferico, dei terreni e delle acque causato proprio dall’allevamento e dalla produzione dei questi alimenti.