Meno carne per combattere il cambiamento climatico, l’analisi del report Ipcc
L’alimentazione a base vegetale è uno dei principali strumenti di mitigazione del cambiamento climatico: lo dice l’ultimo report dell’Ipcc, il comitato Onu che studia il clima
Se mangiassimo meno carne e sprecassimo meno cibo potremmo ridurre le emissioni di CO2 fino a compensare quelle generate dalla deforestazione mondiale. Sta in questo ordine di grandezza il nesso tra riduzione dei consumi di carne, alimentazione a base vegetale e cambiamenti climatici. Lo ha ribadito in questi giorni l’ultimo rapporto dell’Ipcc, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa della valutazione dei cambiamenti climatici, frutto di due anni di lavoro da parte di 107 esperti provenienti da 52 Paesi.
“Per limitare l’innalzamento della temperatura globale a 2°C – si legge chiaramente nel report – è necessario un cambiamento diffuso delle abitudini alimentari verso diete a basse emissioni di carbonio, che prevedono un consumo maggiore di vegetali e frutta e una sostanziale riduzione di consumi di carni rosse”.
Gli effetti sul clima del sistema alimentare globale
Dedicato alle interrelazioni esistenti tra consumo di suolo, sicurezza alimentare e cambiamenti climatici, lo “Special Report on Climate Change and Land” dell’Ipcc presentato in questi giorni a Ginevra ha dedicato un’ampia analisi al rapporto tra l’attuale sistema di produzione alimentare e i cambiamenti climatici in corso. Proprio il sistema alimentare globale, spiega il report, contribuisce, dalla produzione al consumo degli alimenti, per circa il 25-30% alle emissioni dei gas serra responsabili del riscaldamento globale prodotte dalle attività umane. È in questi termini che quello che decidiamo di mangiare e come il cibo che consumiamo viene prodotto ha effetti diretti sul riscaldamento del Pianeta e sul clima.
Lo scenario è quello caratterizzato, dal 1960 a oggi, da un aumento della produzione agricola, con un incremento di circa un terzo del consumo pro capite di calorie. È raddoppiato, invece, il consumo di carne provocando un incremento del 70% di emissioni di metano, uno dei gas responsabili dell’innalzamento delle temperature. Ma più produzione agricola e zootecnica significa anche suoli più poveri, meno capaci di trattenere anidride carbonica, e maggiori consumi idrici: “L’uso di fertilizzanti chimici – analizza il report – è aumentato di nove volte e le aree naturali convertite in agricoltura sono 5,3 milioni di km2, corrispondenti a poco meno della superficie di tutta l’Europa continentale (esclusa la Russia Europea) con un consumo idrico per l’irrigazione pari al 70% del consumo umano totale di acqua dolce”. Più consumi, ma paradossalmente, anche più spreco alimentare: quello pro capite è aumentato del 40%, pari a circa il 25-30% del totale del cibo prodotto. Ovvero, solamente il cibo che sprechiamo contribuisce all’ 8-10% delle emissioni di gas serra prodotte dall’intero sistema alimentare.
Le soluzioni
Meno carne, più alimenti vegetali e meno sprechi: passa, dunque, anche da qui la risposta al contenimento del riscaldamento globale causato dalle emissioni di CO2 secondo l’Ipcc.
“Il potenziale di riduzione di gas serra dal cambio di alimentazione è elevato. Una transizione diffusa a diete più sane – sottolinea infatti il rapporto – avrebbe un potenziale di riduzione di emissione confrontabile alle emissioni generate dalla deforestazione mondiale”.
Il comitato Onu sul clima indica chiaramente l’alimentazione a base prevalentemente vegetale, caratterizzata da una netta riduzione dei consumi di carne, come uno degli strumenti di mitigazione delle emissioni di gas serra: “Le diete bilanciate con alimenti a base vegetale, come cereali a grana grossa, legumi, frutta e verdura e alimenti di origine animale prodotti in modo sostenibile in sistemi a basse emissioni di gas a effetto serra – ha infatti spiegato Debra Roberts, codirettrice del Gruppo II dell’IPCC durante la presentazione del rapporto – offrono importanti opportunità di adattamento e limitazione dei cambiamenti climatici”.
I rischi per l’ecosistema
Il rapporto torna, ovviamente, sui rischi connessi all’innalzamento della temperatura (+1,5 gradi dall’era preindustriale) e ai cambiamenti climatici ai quali già stiamo assistendo, con riferimento alle conseguenze sul suolo: “Sono stati già osservati gli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi naturali terrestri, il degrado del permafrost, la desertificazione, il degrado del territorio e impatti sulla sicurezza alimentare. I cambiamenti climatici – spiega il rapporto – aumentano il tasso e l’entità del degrado del suolo in corso attraverso due fattori principali: aumento della frequenza, intensità e quantità di forti precipitazioni e aumento dello stress da calore. Il riscaldamento globale futuro aggraverà ulteriormente i processi di degrado attraverso inondazioni e più frequenti fenomeni siccitosi, aumento dell’intensità dei cicloni e innalzamento del livello del mare con effetti differenziati a seconda della gestione del territorio”.
La sicurezza alimentare
Come in un circolo vizioso, a catena già si stanno verificando conseguenze sulle rese agricole e, dunque, sulla sicurezza alimentare che “sarà sempre più colpita dai cambiamenti climatici con diminuzione delle rese produttive, specialmente nelle regioni tropicali, aumento dei prezzi, diminuzione della qualità nutrizionale degli alimenti, interruzioni delle filiere alimentari”, ha spiegato Priyadarshi Shukla, co-presidente del Working Group III dell’Ipcc.
Per esempio, si legge nel rapporto, il riscaldamento, aggravato dalla siccità, ha causato una riduzione della produttività agricola nell’Europa meridionale e nelle zona aride del Pianeta, in Africa e nelle regioni montuose dell’Asia e del Sud America. L’aumento di CO2 ha effetti anche sulla qualità nutrizionale degli alimenti diminuendo, per esempio, quella del grano che, “coltivato a concentrazioni di CO2 in atmosfera maggiori di circa il 32-42% rispetto alle attuali può avere il 5,9-12,7% di proteine in meno, il 3,7–6,5% in meno di zinco e il 5,2–7,5% in meno di ferro”.
La questione è, chiaramente, anche economica: “In futuro – conclude il report – il cambiamento climatico avrà un ulteriore impatto sulla resa agricola, la qualità e l’offerta di cibo, con un possibile aumento dei prezzi alimentari. E’ previsto un aumento fino al 23% per il 2050 rispetto agli scenari senza cambiamento climatico”.