La “carne finta” sta alimentando le paranoie dei consumatori vegani?
Fra casi di cronaca e teorie del complotto la presenza di prodotti vegani che imitano in modo sempre più verosimile quelli “classici” sta dando il via a situazioni difficili da controllare ma che raccontano di un problema di ignoranza mai superata.
“Io ci mangiavo da KFC e questo panino vegano è davvero molto simile…”. Per questa ragione Kaysha Clarius, diciannovenne inglese, chiede aiuto ad una community Facebook vegana cercando rassicurazioni sul fatto che quel “pollo” vegetale lo sia davvero. Le rassicurazioni arrivano: il prodotto è effettivamente 100% vegano, prodotto da Quorn, azienda che vende alimenti sia vegetariani che vegani. Pericolo scampato ma c’è un “ma”.
Il tema della “carne finta” completamente a base vegetale e delle proposte vegan di prodotti che imitano in tutto e per tutto quelli a base animale, si sta ora spostando su un ulteriore fronte di discussione: il consumatore in locali pubblici e ristoranti sarà in grado di distinguere i prodotti vegani da quelli “classici”? Si correrà sempre di più il rischio di essere “ingannati” magari quando siamo a cena fuori, trovandoci nel piatto un burger di carne di manzo, al posto di quelle vegetale, senza saperla distinguere?
Questa “teoria della cospirazione vegan” come l’ha definita il The Guardian che ha deciso di porre attenzione a questo tema con un articolo dedicato, sembra prendere strade diverse. Da una parte ecco una tipica teoria del complotto: le grandi aziende starebbero lavorando a creare prodotti che appaiono vegetali solo grazie al marketing ma che in realtà non lo sono, dall’altra, i prodotti così simili alla carne ma fatti con elementi vegetali sarebbero solo un modo per riabituare i “fastidiosissimi” vegani ai vecchi sapori, per poi ricondurli sulla retta via. Dato che le ipotesi di cospirazione e i complotti rimangono tali fino a che non vengono dimostrati, qui parliamo solamente di fantascienza ma certamente alcuni rischi reali si sono già manifestati con i casi di consumatori a cui sono stati serviti piatti non vegani ma difficilmente riconoscibili, nonostante ne avessero fatta richiesta.
Casi reali
Uno dei casi più eclatanti è stato quello emerso pochi giorni fa di Karunesh Khanna, chef di una catena di ristoranti indiani di alto livello: un suo ex assistente manager ha dichiarato di aver perso il lavoro dopo aver avvertito i capi del ristorante sull’uso dei cubetti di pollo nei piatti vegetariani. Lo scorso maggio, un bambino di 3 anni, Zayaan Hussain, è stato ricoverato in ospedale dopo aver mangiato una fetta di pizza con formaggio vaccino invece che formaggio “vegan” (presente nel menu) da Pizza Hut in Inghilterra. Anche in Italia, il critico gastronomico vegan Salvatore Velotti ha raccontato la sua esperienza al limite della truffa in una pizzeria di Napoli, nella quale gli era stata servita una pizza con strutto nonostante avesse palesato chiaramente la sua scelta alimentare. Dopo averlo scoperto ed essersi lamentato, Velotti racconta di aver anche ricevuto in cambio un poco professionale “Ma mica muori…”.
Colpa della carne finta?
Con certezza quasi matematica sarà capitato anche a qualche nostro lettore si affrontare una situazione simile (a noi è successo, più volte) ma dare la responsabilità di questo tipo di comportamento alla carne finta non ha senso, se non altro perché episodi del genere si verificano da sempre. Forse quello che potrebbe accadere è che questi prodotti potrebbero mettere una pulce nell’orecchio in più ai gestori di attività commerciali legate al food e che già nutrono sentimenti poco galanti nei confronti dei famigerati “vegani”.
Quello che deve certamente cambiare, quindi, è l’atteggiamento generale nei confronti delle scelte alimentari come quella vegana e vegetariana non basate su motivazioni cliniche (al netto del fatto che alcuni clienti allergici o con problemi di salute, potrebbero anche chiedere, per comodità o privacy, un piatto vegano invece che fornire la propria cartella clinica al ristoratore). La leggerezza con la quale spesso vengono ascoltate le richieste vegane dei clienti, l’ignoranza profonda che si riscontra sul tema del “che cosa sia vegano e cosa non lo sia” da parte di chi serve il pubblico, è una questione molto lontana dai complotti e più vicina al pressapochismo con il quale si affronta il proprio lavoro. Forse è anche dopo aver ascoltato, letto e verificato con mano così tante storie su situazioni ingannevoli che alcuni consumatori vegani un po’ sensibili, iniziano ad accarezzare sempre più idee complottiste.