Il benessere animale non esiste, non ingannate i consumatori
Criteri scientifici, regole da applicare che permettano di dire “Questi animali sono stati allevati bene, stanno bene”. Ma non c’è etichetta che tenga, si tratta solo di una favola.
Sulla confezione del prosciutto, su quella delle uova, su alcuni cartelli nelle macellerie possiamo da qualche tempo trovare questa scritta: “Benessere animale”. Corriere della Sera decide di dedicare al tema un video servizio nel quale spiegare che cosa significhi questa espressione sempre più presente. Sono allevatori e veterinari a darne una definizione. C’è solo una realtà: il benessere animale è una favola.
L’informazione trapela, le condizioni degli animali negli allevamenti intensivi viene mostrata anche in tv mentre chi ha appena comprato la sua confezione di prosciutto cotto in vaschetta targata “benessere animale”, sta iniziando a mangiare. Scatta l’allarme, la necessità di difendere i “portatori di interessi”, come li definisce Giovanna Parmigiani, presidente della sezione di prodotto Carni Suine di Confagricoltura: gli allevatori, l’industria della carne. “Ai consumatori – dice- se chiedi “volete che gli animali stiano bene?”, loro ti rispondono ovviamente di sì, ma poi bisogna avere criteri scientifici“. Uno su due, secondo l’Eurobarometro, sono coloro che vorrebbero un trattamento migliore, “umano”, per gli animali allevati, e quindi c’è una sola priorità adesso: rispondere a quella richiesta che, è chiaro, per i “portatori d’interesse” è solamente da tenere sotto controllo, gestire.
Forse qualcuno di voi conosce il mito della caverna di Platone, una delle “storie” filosofiche più efficaci e moderne che siano mai state scritte: ecco, quella del benessere animale sembra apparire come una verità che uno degli incatenati è riuscito a scorgere voltando lo sguardo. Queste etichette dedicate ai verdi germogli del benessere, queste pubblicità che raccontano di massaggi alle mucche da latte, sono una sorta di grande mano che costringe i consumatori e tornare con la testa dalla parte “giusta”: “Non guardate dietro di voi -sembrano pensare allevatori, industriali della carne e aziende parlando a chi compra – non fatevi domande e a quelle poche che vi farete noi risponderemo con una bellissima favola, rassicurante, che inizia così: “C’era una volta l’allevatore cattivo, adesso è arrivato il benessere animale”.
Gli animali per diventare carne, prosciutto, salsiccia, salame, muoiono e mangiare questi alimenti, come i derivati come latte e formaggi, burro e uova, non sono necessari alla nostra alimentazione. Non c’è un’altra verità. Se consumi questi prodotti stai facendo una scelta o meglio due: di sapere e ignorare, di non sapere e di non voler minimamente informarti. Che i maiali stiano in 10 metri quadrati o in venti, che gli si fornisca una catena di ferro con tondi di plastica da morsicare per gestire lo stress o meno, questi animali nasceranno, verranno alimentati male, non vivranno una vita che sia degna di questo nome e poi verranno uccisi.
No, non esiste un modo “carino” per togliere la vita ad un animale e se è vero che ci sono regole e standard che dovrebbero garantire quanto meno che vitelli e maiali non vengano uccisi a calci o con l’uso di spranghe di ferro, ma solo dopo essere stati storditi, è altrettanto vero che quando devi “processare” (ossia uccidere e macellare) 450 suini alla settimana, o 400 conigli all’ora queste regole non sempre le riesci a rispettare e, anche se lo facessi, c’è sempre e una sola verità: un animale, diventato macchina metabolica, fatto nascere solo per essere poi mangiato, verrà ucciso, macellato e poi consumato senza che ce ne sia il bisogno, solo per il gusto, l’abitudine, la tradizione.
Silvio Borrello, Capo dei Servizi Veterinari del Ministero della Salute lo spiega: “Cosa vuol dire benessere animale? Cantare la serenata in napoletano agli animali? Fare una carezza alla scrofa prima che si addormenti?”. Non scherziamo. Quelli sono solo animali, sono strumenti per accontentare un’interesse e una domanda di mercato. Quindi la questione posta sul tavolo da veterinari e allevatori è una sola, ossia cerchiamo qualcuno che ci dica scientificamente che cosa vuol dire che l’animale stia bene, viva nel benessere ma, mi raccomando, “non usiamo criteri di valutazione antropocentrici” come spiega Luigi Bertocchi, direttore del Centro di referenza nazionale per il benessere animale fondato nel 2003. Insomma non immaginiamoci, o meglio non facciamo immaginare a chi compra, che gli animali possano avere esigenze di benessere che si avvicinino anche solo lontanamente a quelle che ci immaginiamo per noi. Libertà e diritto alla vita non sono cose per animali, ma il benessere sì: una bella gabbia grande, una bella catena di ferro da mordere, questo lo racconteremo ai consumatori con una etichetta, magari verde.
Questa storia finirà perché sono sempre di più le persone che si gireranno a guardare dietro di sé rendendosi conto che quel benessere animale, quella favola dell’animale libero nei campi è solo un’ombra e le ombre con la luce sono destinate a scomparire. Informiamoci, accendiamo la luce.