“The fish and I”: un corto ci mostra che ogni vita ha valore

La storia di un’amicizia intensa tra un uomo non vedente e il suo pesciolino rosso è la trama del commovente cortometraggio in bianco e nero di Babak Habibifar

Quanto può valere la vita di un pesciolino rosso? Il corto si apre con una comune boccia di vetro con all’interno un pesce rosso che nuota, al suo fianco un uomo si prepara un caffè con lentezza e qualche incertezza. Per i primi due minuti non ne viene mostrato il volto, ma si percepisce che qualcosa che non va: il protagonista non vede.

Il cortometraggio

I rumori d’ambiente della cucina vengono improvvisamente interrotti dallo squillo di un telefono che ci fa sobbalzare esattamente come l’uomo del film che, voltandosi di scatto, inavvertitamente urta la boccia del suo pesciolino che finisce a terra in mille pezzi, mentre la bestiola boccheggia sul pavimento della cucina. Al rumore inconfondibile dei cocci infranti, un primo piano mostra il volto attonito e preoccupato del protagonista, il volto di un uomo consapevole del dramma che potrebbe compiersi. Mentre il telefono continua a squillare, egli si accascia sul pavimento tastando tra i vetri con le mani alla ricerca del suo amato compagno di vita: attraverso i dettagli lo spettatore quasi sente su di sé i tagli e le ferite che il protagonista si sta procurando sulle mani sotto lo scricchiolio dei vetri, incurante del dolore.

Improvvisamente, ecco che percepisce un buco nel pavimento, lo tappa subito con la sua camicia e capisce che forse può risolvere la situazione: versando secchiate d’acqua sul pavimento si rende conto che può trasformare la sua cucina in una sorta di piscina e salvare la vita al suo pesciolino che disperatamente non riesce a trovare. Ora, con l’acqua ai polsi, ricomincia a tastare il pavimento con un misto inconciliabile di speranza e rassegnazione fino a quando, impotente, si siede nell’acqua con uno sguardo fisso che sì, non afferra con completezza il mondo esterno, ma è tutt’altro che spento. Alcune note di pianoforte, che scandiscono il tempo sovrapponendosi al ritmico gocciolare del lavello, accompagnano questo momento lieto e commovente: il pesciolino è vivo, sfiora le dita del suo padrone e si rifugia sotto il suo palmo come in una cuccia, in una grotta sicura.

Il messaggio

Quel silenzio è noto: è quello che circonda la domanda “Che cosa sono disposto a perdere e a cambiare della mia vita per aiutare l’altro?”. Un tema cruciale, forte, che pervade da sempre anche la cultura animalista ed antispecista: siamo davvero in grado di cambiare visione, di modificare il nostro “habitat” come, simbolicamente fa Babak Habibifar, regista e protagonista del corto, a favore degli altri animali? Oppure il nostro stare al centro è insormontabile? In “The Fish and I” la speranza è enorme, il sollievo lo è altrettanto. Riusciamo ancora a vedere un gesto che ribalta il punto di vista. Non è l’animale a tornare nell’acqua, ma siamo noi ad entrare con lui nel suo mondo, perdendo un po’ di noi o forse, arricchendoci.

Dura appena sei minuti questo toccante corto in bianco e nero del regista iraniano che ha vinto qualche anno la fa sesta edizione dello “Skepto International Film Festival” nella sezione Best Short. Tutto impostato su dettagli e primi piani, senza dialoghi, il film, sebbene così corto, è scritto a regola d’arte tanto da affidare la narrazione solo ed esclusivamente alle immagini. È una storia semplice ma con un un messaggio forte, strutturato i 3 atti: la descrizione dell’ambiente domestico e della caratteristica fondamentale del protagonista (essenziale perché la storia abbia senso), lo squillo del telefono che innesca l’evento scatenante (la rottura della boccia) e le azioni a seguire fino alla scoperta del buco nel pavimento, infine la terza parte rappresentata dal tentativo di ripristinare l’ordine iniziale sconvolto e il tanto atteso lieto fine.

L’eroe e il suo viaggio

Non solo la struttura del racconto, ma anche la costruzione del protagonista rispecchia un esempio di narrazione classica, quella del viaggio dell’Eroe. Infatti, fin dagli albori della letteratura greca e della mitologia, gli archetipi fanno parte di tutte le narrazioni perché tutte le narrazioni, attraverso lo svolgersi di alcune tappe fondamentali, portano il protagonista alla scoperta del vero Sé . In questo caso il viaggio è istantaneo ma non meno complesso perché in pochissimo tempo vengono descritte alcune esperienze archetipiche fondamentali: la lotta con il Drago (rappresentato in questo caso dall’handicap della cecità), la discesa negli Inferi (la paura della perdita che potrebbe paralizzare l’azione anziché favorirla) che è l’unico modo per raggiungere il Tesoro, la ricompensa, la vittoria, la conquista della consapevolezza delle proprie capacità; infine il ritorno a casa, arricchiti di esperienza: nel corto l’uomo ha affrontato e sconfitto le sue maggiori paure.

In questo cammino di crescita però l’Eroe non è solo e il coprotagonista ha la sua stessa importanza (tanto che nel titolo del corto il pesce è citato per primo): in una manciata di minuti viene espresso con forza un profondissimo legame di amicizia, ancor più potente perché si svolge tra un comunissimo pesciolino rosso e un uomo cieco; ma chi può decidere quale vita ha più valore di un’altra? Come è stato osservato dalla giuria, il film “acceca il suo protagonista, ma amplifica tutti i nostri sensi e li trattiene dentro una stanza con la fulminea completezza di un perfetto corto underground, concentrando in sei minuti la più tenera e complessa storia d’amore tra un uomo e un pesce“.

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