Caccia, è dibattito in tv. Stefania Craxi: “L’attività venatoria è convivialità”
Un altro dibattito, sul piccolo schermo, che contrappone posizioni animaliste a ideologie antropocentriche
Caccia: una crudeltà anacronistica o uno sport come gli altri? Martedì 12 dicembre è andato in onda – nella rubrica “Il grande match” della trasmissione Uno Mattina – l’ennesimo dibattito televisivo su questo tema. In studio, a favore dell’abolizione dell’attività venatoria il filosofo e attivista Leonardo Caffo; in collegamento, invece, la politica Stefania Craxi, convinta sostenitrice (e praticante) della caccia ai cinghiali. Il breve dibattito si apre affrontando una delle questioni più spinose legate alla presenza di cinghiali sul nostro territorio: importati artificialmente dall’uomo nei decenni scorsi, sono ora animali che si riproducono molto velocemente, spesso disturbando le attività agricole dei contadini nelle vicinanze.
Pare proprio questa una delle motivazioni più forti per Stefania Craxi a giustificazione dell’attività venatoria: una sorta di “regolazione dell’ambiente fai da te” necessaria laddove le istituzioni non intervengano adeguatamente per tenere sotto controllo la situazione. Ma non basta: quest’ultima, proprietaria da tempo di un casale in Maremma, parla di “un istinto ferino e ancestrale” che la porta a volersi confrontare in questo modo con la natura che la circonda, e che “la caccia al cinghiale è parte imprescindibile dello stare in quei luoghi. Per me, andare a caccia di cinghiali è un modo per rapportarmi con la comunità con cui ho scelto di stare”.
La replica di Caffo è incontrovertibile: “Lo squilibrio ambientale a cui assistiamo è opera dell’uomo. Se volessimo andare a sacrificare la specie che ha distrutto più ecosistemi, dovremmo suicidarci“. Una rivalsa, quella sostenuta da Stefania Craxi, che non ha senso di esistere anche per il modo in cui viene praticata, secondo il filosofo, che parla di spostare i cinghiali altrove, magari in parchi protetti: una pratica impossibile, ribatte la Craxi. “In più, io non credo che una persona possa andare nella natura selvaggia rimanendo un ‘non selvaggio’ – continua Caffo – e portando con sé un pezzo di tecnologia come il fucile, perché si crea un rapporto artificiale-naturale che non ha senso di esistere”. Insomma, un conto sarebbe praticare la caccia facendo affidamento solo sui propri mezzi fisici, afferma Caffo, un conto è farlo con mezzi artificiali che ci pongono in netta superiorità rispetto alle altre specie.
“Lo squilibrio ambientale a cui assistiamo è opera dell’uomo. Se volessimo andare a sacrificare la specie che ha distrutto più ecosistemi, dovremmo suicidarci“.
“Parte della caccia è convivialità: il cinghiale si mangia e questo produce economia: penso soprattutto al contadino che arrotonda i guadagni vendendo ai ristoranti il cinghiale che ha cacciato – dichiara Stefania Craxi – e preferisco guardare alla realtà delle persone, piuttosto che a delle ideologie asettiche e avulse dalla realtà“, conclude. È forse bene ricordare, come riportato anche in un servizio durante la trasmissione, che nel 1990 in Italia si tenne un referendum che – sebbene non avesse raggiunto il quorum – portò il 92% degli italiani a schierarsi contro la caccia; ancora oggi, secondo i dati Eurispes, 8 italiani su 10 sono contrari a questa attività. Risulta difficile, dunque, parlare di “ideologie avulse dalla realtà”, quando la stragrande maggioranza della popolazione ha espresso il proprio dissenso contro un’attività così crudele, violenta e assolutamente ingiustificabile nel nostro tempo. “L’unica occasione in cui è ammissibile uccidere qualcun altro è per sopravvivere – conclude infatti Caffo – ma questo non è certamente il caso dell’uomo occidentale, che sta decisamente meglio del cinghiale a cui decide di sparare”.
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