“Il latte prodotto umanamente non esiste”: spot vegano non è ingannevole
Nessun inganno ai consumatori da parte di uno spot, promosso da un’associazione vegana, che invita a non comprare latte vaccino
Vittoria per l’associazione britannica per i diritti degli animali Go Vegan World, accusata di aver fatto circolare sui principali media inglesi uno spot pubblicitario ingannevole: l’ASA, autorità di controllo britannica, ha decretato a favore degli animalisti. Oggetto della discordia un annuncio pubblicitario, lanciato nello scorso febbraio, in cui l’associazione invitava i consumatori a smettere di bere latte vaccino: “Il latte prodotto con metodi “umani” è un mito. Non comprarlo”, recita lo slogan, accompagnato dall’immagine di una mucca dietro a del filo spinato.
Sotto alla scritta, la testimonianza di un attivista per i diritti degli animali,
“Sono diventato vegano il giorno stesso in cui ho visitato un allevamento di mucche. Le madri, ancora insanguinate dopo la nascita dei vitellini, cercavano e chiamavano freneticamente i loro cuccioli. I figli, appena partoriti ma già lontani dalle madri, tremavano e gridavano piteosamente, bevendo latte dalle tettarelle di gomma sul muro invece che dalle mammelle delle mucche.” E a seguire: “Tutto perché gli uomini prendono il loro latte. I cuccioli maschi vengono subito portati al macello per la loro carne e le mucche stesse vengono uccise a soli 6 anni, mentre la loro vita media è di 25 anni. Non potevo più essere complice di tutto questo. Tu puoi?”
Uno slogan pubblicitario sicuramente d’impatto, che ha fatto discutere e che ha spinto sette persone, alcune delle quali avevano lavorato nell’industria lattiero-casearia, a segnalare la pubblicità alle autorità competenti: affermazioni totalmente ingannevoli e fuorvianti, a loro dire, che nulla avrebbero a che fare con i metodi di allevamento dell’industria casearia in Inghilterra. A questo va aggiunto che dallo spot, secondo i contestatori, si evince il non rispetto delle norme vigenti nel paese per il benessere degli animali negli allevamenti, che prevedono che i vitellini rimangano con le madri dalle 12 alle 24 ore dopo il parto. Contestate, infine, anche le immagini cruente evocate nello spot.
Le autorità competenti, però, non hanno riscontrato alcun “inganno” nei confronti dei consumatori: “Abbiamo ritenuto che i lettori avrebbero capito che le parole usate nello spot non fanno riferimento a specifici standard di benessere, ma che vogliono invece spiegare come i vitelli siano generalmente separati dalle loro madri molto presto dopo la nascita – spiegano – Era chiaro inoltre che l’annuncio provenisse da un gruppo animalista vegano, e abbiamo quindi ritenuto che i consumatori avrebbero capito che il linguaggio utilizzato riflette l’opinione del gruppo stesso sull’impiego degli animali nella produzione di alimenti”.
Sandra Higgins, direttore di Go Vegan World, ha tenuto a sottolineare che la tempistica della separazione mucca-vitello non ha alcun peso ai fini dell’annuncio: il vero obiettivo dello spot è quello di far sapere alle persone che, indipendentemente dalla loro provenienza, i latte e i suoi derivati sono prodotti con metodi legali che prevedono la separazione dei vitelli dalle loro madri a poche ore dalla nascita, il loro sfruttamento e, infine, la loro uccisione. “Il momento preciso della separazione è irrilevante – spiega la Higgings- perché la maggior parte delle persone considera ingiusto il distacco indipendentemente che questo avvenga a 24 o 25 ore dal parto. Il problema non è come gli animali vengono trattati durante la produzione del latte, ma piuttosto l’esistenza stessa di questo sfruttamento“.
In Italia, un risvolto simile ha avuto la campagna “Ora del latte” lanciata dal Ministero delle Politiche Agricole per promuovere il consumo di latte vaccino che veniva definito “indispensabile in tutte le fasi della vita degli individui e per il nostro organismo nelle fasi dello sviluppo e dell’età adulta”. Su sollecitazione di LAV, l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP) l’ha infatti giudicata scorretta, obbligando gli autori a sostituire la parola “indispensabile” con “importante”.
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