Salmone selvaggio? No, pieno di antibiotici e malformazioni

Sono ripartite le indagini di Sabrina Giannini su RaiTre, dedicate al cibo che mangiamo: ora è la volta del pesce

Indovina chi viene a cena salmone

“Mangiate il pesce, mangiatelo ogni settimana, bisogna sostenere il Mediterraneo perché fornisce un pesce che ha poco inquinamento rispetto a quello di tutto il resto del mondo” affermava tempo fa in televisione il dottor Giorgio Calabrese, medico nutrizionista. Ma è davvero così? Un’inchiesta svolta dalla trasmissione “Indovina chi viene a cena”, in onda ieri sera sulle reti Rai e intitolata “Sano come un pesce” parla di una realtà diversa. Il pesce che mangiamo è davvero sano? Fa bene alla nostra salute, come pensiamo? Queste ed altre le domande a cui la trasmissione ha voluto trovare risposta, scoprendo una realtà allarmante.

Pesce: un alimento sano?

Noi tutti siamo cresciuti con la convinzione che il pesce – primo fra tutti il salmone – faccia bene al cervello, grazie al suo elevato contenuto di acidi grassi Omega-3: più intelligenza e soprattutto più memoria per chi ne consumi in grandi quantità. Eppure, come riferisce l’inchiesta, non esiste alcuna evidenza scientifica che associ il consumo di salmone a un maggior quoziente intellettivo. Al contrario, sono molti gli studi e le analisi che ne provano la tossicità, specialmente quando si tratta di pesce proveniente dagli allevamenti. Ma partiamo dai dati: oggi la richiesta di salmone è talmente elevata che non è più possibile consumare solo salmone “selvaggio”, così che quasi tutto quello che consumiamo abitualmente proviene dagli allevamenti intensivi norvegesi. Potremmo pensare a una maggiore “sicurezza alimentare”, ma non è così. Negli allevamenti è possibile notare una patina opaca sull’acqua, che altro non è se non il vomito dei salmoni stessi. Questi, alimentati con mangimi troppo grassi, rigettano spessissimo quello che mangiano. In più, si usano sostanze tossiche mescolate con il cibo, talvolta riversate direttamente nell’acqua (vedi foto): “Usano le maschere mentre buttano le sostanze chimiche nelle vasche, per proteggersi dal loro effetto tossico – afferma Kurt Oddekalv, fondatore dell’associazione Green Warriors of Norway – ma le aziende che allevano negano questi trattamenti chimici”. Dati che coincidono con quelli sui cambiamenti climatici, che potrebbero far aumentare di 10 volte il mercurio contenuto nei pesci che mangiamo.

Indovina chi viene a cena salmoneLe analisi di laboratorio provano, però, queste affermazioni: nei pesci provenienti da allevamenti sono state trovate sostanze chimiche potenzialmente cancerogene per l’uomo, il cui uso è comunque autorizzato sia nell’agricoltura che negli allevamenti ittici. Lo stesso discorso vale per sostanze considerate genotossiche, cioè in grado di modificare il DNA di chi le ingerisce. L’allevamento, in più, contribuisce a modificare la struttura corporea dei salmoni, come spiega il dottor Renato Melandra, medico veterinario ASL: “Il salmone in natura non è un pesce grasso, ma lo diventa in allevamento: passa dal 2/3% all’8/9% e tutto questo è un problema, perché la qualità degli acidi grassi di un allevato è meno pregiata di quella di un pesce pescato”.  Le leggi europee però non obbligano i ristoratori a indicare se quello che stiamo per consumare è salmone allevato o “selvaggio”, quindi non ci è dato conoscere la qualità degli acidi grassi che abbiamo nel piatto. E anche se le norme europee sull’etichettatura sono più rigide, consentono comunque ai colossi industriali che vendono pesce confezionato di non riportarne il luogo di provenienza, giocando con frasi ambigue come “pregiato” o “grande nuotatore”, che non indicano nulla ma che danno l’idea di un pesce di buona qualità.

Pesce ai bambini: è la scelta giusta?

Il pesce, specialmente la sogliola, è uno degli alimenti più consigliati nell’alimentazione dei più piccoli, ma probabilmente non dovrebbe essere così: Anne Lise Bjorke Monsen, ricercatrice biochimica dell’Università di Bergen, afferma infatti: “Tra gli alimenti che mangiamo il salmone è uno dei più contaminati e questi contaminanti nei bambini sono associati ad effetti negativi sullo sviluppo neurologico e cognitivo, all’autismo, all’obesità, al diabete mellito e al cancro”. Nelle donne che consumano pesce in gravidanza la questione è allarmante: “Abbiamo osservato i livelli di questi contaminanti assunti dalle mamme attraverso la dieta e, quindi, nei loro bambini: diminuisce il loro livello nella madre, dalla gravidanza fino al sesto mese di allattamento, perché passano dalla madre al bambino“. Numerose ricerche nel mondo, secondo quanto riportato dall’inchiesta, consigliano infatti di limitare il consumo di pesce in gravidanza, nei bambini e negli anziani. Ma si tratta di un’emergenza sanitaria globale che passa sotto silenzio.

Indovina chi viene a cena salmoneAllevamento ittico, una sofferenza silenziosa

Al di là dell’importantissima questione salutistica e ambientale, l’allevamento ittico è anche un’attività dal risvolto etico rilevante: la richiesta di pesce è in crescita e aumenta, di conseguenza, il numero dei pesci allevati. “Un allevamento di medie dimensioni produce 3120 tonnellate di pesce l’anno, che corrispondono circa a 2 milioni di pesci” afferma Kurt Oddekalv. Il che si traduce in condizioni di vita pessime, in vasche piccole e insufficienti per condurre una vita dignitosa, ma anche nella somministrazione di grandi quantità di vaccini, indispensabili per debellare le malattie in ambienti tanto affollati. Il punto è che questi farmaci possono causare nei pesci gravi effetti collaterali come lesioni agli organi interni, malformazioni e morte. In più, le vasche di allevamento sono comunque immerse nel mare, quindi il danno va oltre: “Il 50% dei merluzzi pescati in queste acque ha difetti genetici, gli stessi presenti nei salmoni da allevamento – afferma Oddekalv – ma in questi casi tagliano la testa al pesce e vendono solo il resto, così chi compra il pesce non può accorgersi delle malformazioni”.

Pesce: la situazione in Italia

L’Italia è circondata dal mare ed è davvero strano pensare che il pesce sulle nostre tavole non provenga dalle nostre acque, eppure è proprio così: la risorsa ittica italiana, secondo quanto scopriamo dall’inchiesta, è quasi del tutto terminata. Ad affermarlo è il dottor Renato Malandra, che dichiara: “Nel 1983 l’80% del pesce sulle nostre tavole era di provenienza nazionale, oggi lo è solo il 25%”. Dati preoccupanti, dovuti alla pesca distruttiva portata avanti negli ultimi decenni nel “mare nostrum”, il mar Mediterraneo, e che fa sì che il pesce che consumiamo in Italia provenga per lo più dall’Oceano Atlantico. Questa, purtroppo, non è una situazione che riguarda solo il nostro paese ma coinvolge i mari del tutto il mondo. Sono più di 90 milioni, infatti, le tonnellate di pesce pescato ogni anno nel mondo; 100 miliardi, invece, i pesci che vengono allevati ogni anno negli allevamenti intensivi, con una terribile conseguenza: oceani vuoti entro il 2048. A questo, vanno aggiunte anche nel nostro paese le preoccupazioni riguardanti le sostanze tossiche immesse nell’acqua dall’industria cosmetica, farmaceutica e alimentare, che sono accusate di interferire con il sistema endocrino di tutti gli animali, uomo compreso. Non è un caso, quindi, che analisi di laboratorio confermino alterazioni nell’apparato riproduttivo dei pesci che vivono nei nostri mari e nei nostri fiumi.

Ma come fare, quindi, per consumare pesce “sicuro”? Secondo il dottor Franco Berrino, medico ed epidemiologo italiano, “se si vuole mangiare pesce bisogna scegliere quello meno inquinato possibile, quindi non il pesce spada e non il tonno: i grandi predatori sono molto più inquinati dei pesci piccoli”. Per chi, invece, volesse evitare il consumo di pesce “esistono discrete fonti vegetali di Omega-3 come portulaca, semi di lino, soia e noci”.

 

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