FAO: la prima causa del cambiamento climatico? L’allevamento intensivo
Il 16 ottobre scorso si celebrava il World Food Day, una giornata per riflettere sul cambiamento climatico: ma le azioni per il cambiamento legate all’allevamento sono troppo timide
“Il clima sta cambiando. Anche il cibo e l’agricoltura dovrebbero”. Con questo slogan si apre il World Food Day indetto dalla FAO e tenutosi il 16 ottobre 2016, la giornata mondiale dedicata appunto al cambiamento climatico e alle conseguenze drammatiche cui il pianeta andrà incontro se non si agisce e subito.
Sul sito della Fao viene segnalata come prima tra le cause che provocano il cambiamento climatico l’emissione di gas serra (due terzi del totale) e di metano (il 78%) generate dagli allevamenti intensivi. Un dato già allarmante è reso ancor più drammatico dalle stime per il futuro. La popolazione terrestre è infatti in costante aumento (nel 2050 si supereranno i 9 miliardi di individui) e il parallelo incremento dell’urbanizzazione si traduce in una richiesta continua e inesorabile di prodotti animali (circa il 70% in più) soprattutto nei paesi industrializzati.
Per far fronte a questo bisogno spropositato di alimenti si ricorre a sempre più moderne tecniche di allevamento intensivo affiancate da quelle tradizionali, che pure sopravvivono anche se in minima parte. Accantonando per un attimo le implicazioni etiche che lo sfruttamento degli animali comporta, è certo che il settore dell’allevamento è quello che coinvolge più di tutti gli altri l’uso/abuso del suolo agricolo per far crescere le colture destinate all’alimentazione del bestiame.
L’impatto di questa industria è decisivo non solo sul cambiamento climatico, ma anche rispetto al consumo delle risorse idriche e nell’estinzione della biodiversità come già denunciato dal documentario Cowspiracy.
Per far fronte alla domanda di cibo limitando lo spreco di risorse la FAO si pone come obiettivo non tanto l’abolizione definitiva dell’allevamento intensivo (sebbene additata come prima causa di inquinamento) ma sostiene la necessità di un allevamento e un’agricoltura che siano più sostenibili per non gravare ulteriormente sulla Terra. Ciò nella convinzione che la crisi alimentare che affligge il Terzo Mondo si possa combattere solo con la carne e che di carne e derivati abbiano bisogno le famiglie indigenti per sfamarsi.
Insomma per salvare il pianeta non si devono ridurre i consumi ma produrre cibo in maniera sostenibile, cioè adottando tecniche produttive che permettano di generare di più con il minor impiego possibile di materie prime e con i minori effetti collaterali (come lo spreco di cibo durante la catena produttiva che porta al prodotto finito o l’inquinamento derivante dal confezionamento e trasporto dei prodotti stessi).
Il World Food Day precede la prossima Conferenza Mondiale sul Cambiamento Climatico che si terrà dal 7 al 18 Novembre a Marrakech, Marocco.
Serena Porchera