Alpinista vegana sull’Everest: è stato il mal di montagna

L’alpinista australiana morta sull’Everest è stata uccisa dal cosiddetto “mal di montagna”, uno stato di malessere e affaticamento che può sopraggiungere a quote elevate. Nessuna correlazione, dice l’esperto, col suo essere vegana.

everest

Nessuna correlazione tra la morte sull’Everest di Maria Elizabeth Strydom, alpinista australiana di 34 anni, e il suo essere vegana. L’ascensione alla vetta più alta del mondo, iniziata una settimana fa insieme al marito Robert Gropel, era stata progettata con l’obiettivo di dimostrare che “I vegani non sono deboli e possono fare qualsiasi cosa”. L’intento della missione è stato però immediatamente strumentalizzato dall’opinione pubblica e dalla stampa che subito ha dato notizia dell’incidente sottolineando l’improbabile legame tra un imprevedibile destino beffardo e infausto e un’alimentazione giudicata carente e inappropriata.

Tutti i giornali infatti avevano dato notizia della scomparsa della giovane donna ponendo l’accento soprattutto su un dettaglio: la sua scelta alimentare che l’avrebbe resa inabile ad affrontare una simile sfida per il corpo e la mente. Oggi la smentita: il tragico decesso ovviamente non ha nulla da imputarsi alla dieta vegana quanto piuttosto alle condizioni ambientali proibitive e al conseguente stato di affaticamento psico-fisico che si può incontrare a quote elevate.

Tanto è vero che anche un uomo olandese di 35 anni, Eric Arnold, era morto tragicamente poche ore prime, anche lui per lo stesso “mal di montagna”.

“Non si può dire che ci sia una correlazione tra il tipo di dieta e la morte della donna australiana”, afferma la dr.ssa Giorgia Carabelli, biologo nutrizionista, nutrigenetista Acsian, relatrice al Master Internazionale di Medicina di Montagna dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese interpellata da Montagna.tv. “In alta quota si possono verificare carenze di oligoelementi e micronutrienti, per cui in generale si consiglia di affrontarla seguendo una dieta onnivora, come prevedono le Linee Guida ministeriali. Ma non si piò affermare che il fatto che la 34enne seguisse un’alimentazione priva di proteine animali possa averla messa più a rischio di morte”.

Anche la dottoressa Elena Dogliotti, Biologa e Nutrizionista della Fondazione Umberto Veronesi, interpellata dall’Huffingthon Post ha spiegato che non esiste nessuna correlazione: “Da quello che ho letto la Dott.ssa Strydom è morta in seguito a “mal di montagna”, un rischio ben conosciuto per gli scalatori di alta quota, in cui la causa scatenante di una serie di eventi a cascata è la carenza di ossigeno, se il regime alimentare di un vegano è realmente equilibrato in macro e micronutrienti e se il suo introito calorico rispetta le esigenze di dispendio, non ci sono evidenze che lo vedano maggiormente esposto a rischi per la salute rispetto ad un onnivoro”. Tanto più, va aggiunto, che durante la scalata ha perso la vita anche un uomo che non seguiva la scelta vegana.

Sul Tetto del Mondo si calcola che negli anni abbiano perso la vita almeno trecento alpinisti, mentre circa 4.000 ne hanno calcato la cima.

Serena Porchera

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