Second Nature: una mostra per capire che cosa stiamo facendo alla Terra

L’esposizione presso il Cantor Arts Center di Stanford, raccoglie le opere di 44 artisti da tutto il mondo per uno sguardo impietoso e globale.

Edward Burtynsky, Lithium Mines #1, Salt Flats, Atacama Desert, Chile, 2017. Pigment inkjet print on Kodak Professional Photo Paper, 48 x 64 inches (121.9 x 162.6 cm). Courtesy of Weinstein Hammons Gallery, Minneapolis / Nicholas Metivier Gallery, Toronto. © Edward Burtynsky

Alla parola “Antropocene” ci stiamo abituando, così come alle immagini di devastazione del Pianeta. Non è una colpa, ma un meccanismo del nostro cervello: la sovraesposizione e la ripetizione nonché i termini globali legati ad una vastità che facciamo fatica ad immaginare, ci rendono molto meno sensibili. Eppure un modo per scuoterci dalla nostra “abitudine” ci deve essere. I curatori della mostra Second Nature: Photography in the Age of the Anthropocene si sono posti questo obiettivo per allestire un’esposizione unica nel suo genere, sia per dimensioni che per partecipazione artistica.

Gohar Dashti,Untitled #2from the seriesHome,2017. Archival digital pigment print, artist’sproof 1/2, 31 3/8 x 47 3/16 inches (80 x 120 cm).Courtesy of the artist and Robert Klein Gallery. ©Gohar Dashti

La mostra presenta il lavoro di 44 artisti della fotografia provenienti da tutti i continenti: un lavoro globale, complesso, e per nulla scontato quello di metterli insieme e di scegliere quali opere mostrare per smuovere davvero il pubblico, come spiega una delle curatrici in un’intervista al The Guardian: “Vieni vaccinato a immagini di trauma e devastazione in modi che rendono difficile agire in modo efficace attraverso l’arte”. Eppure la mostra c’è e le immagini che trapelano sono davvero potenti.

Gideon Mendel, Anchalee Koyama,Taweewattana District, Bangkok,Thailand, November 2011 from the series Drowning World: Submerged Portraits 2011. Laser print on fabric, dimensions variable. Courtesy of the artist and Axis Gallery, New York & New Jersey. © Gideon Mendel

Dalla visione aerea di Città del Messico scattata da Pablo López Luz ci si potrebbe far rapire e soffermarsi per ore: una vastità così intricata di case, strade, palazzi che danno la netta impressione di come l’uomo abbia raso al suolo quello che prima abitava quelle colline, quello spazio infinito, rendendolo grigio e senza nessuna speranza di tornare verde.

Le vasche di raffreddamento delle miniere di estrazione del litio, uno dei metalli più importanti per il settore tech mondiale, rimettono in discussione proprio quel concetto di “verde”: le varie sfumature delle vasche di raffreddamento sono certo verdi e gialle, ma nulla di loro ha a che fare con la natura.

Pablo López Luz,Vista Aérea de la Ciudadde México, XIII(Aerial View of Mexico City,XIII) from the seriesTerrazo,2006. Pigmentprint, 39 1/3 x 39 1/3 inches (99.9 x 99.9 cm).Courtesy of the artist and Arróniz Gallery,Mexico City. © Pablo López Luz

Una natura che si riprende quello che era suo anche attraverso la forza più immensa che il pianeta Terra ha a disposizione: l’acqua e le inondazioni. Da anni le immagini delle inondazioni scattate da Gideon Mendel, mettono in luce quello che succede quando l’uomo decide di non rispettare più i patti con il paesaggio che lo ospita.

“Questa mostra – spiegano i curatori – invita il pubblico a vedere l’Antropocene come una complessa rete di interconnessioni che abbracciano i regni politico, economico ed ecologico, così come umano e non umano. Offrendo spazio per la riflessione e l’intuizione, Second Nature inquadra le sfide della nostra era e apre il potenziale per un nuovo impegno con questi cambiamenti”.

La mostra sarà aperta fino al 3 agosto

L’immagine di apertura: Edward Burtynsky, Lithium Mines #1, Salt Flats, Atacama Desert, Chile, 2017. Pigment inkjet print on Kodak Professional Photo Paper, 48 x 64 inches (121.9 x 162.6 cm). Courtesy of Weinstein Hammons Gallery, Minneapolis / Nicholas Metivier Gallery, Toronto. © Edward Burtynsky

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