I giocattoli ci seppelliranno? Viaggio nell’industria prima per uso di plastica

Nonostante gli sforzi di alcuni produttori e una maggiore attenzione alla qualità e alle materie prime, si continuano a produrre troppi giocattoli. E non è una buona notizia né dal punto di vista ambientale né educativo

di Eleonora Ballatori

Diciotto chilogrammi di giocattoli di plastica a testa. È questa la media per i bambini dei Paesi occidentali calcolata nel 2021 dal Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP). Se poi si guardano i dati sulle vendite globali, la stima sembra destinata a crescere: nei dodici mercati monitorati da NPD Group, tra cui l’Italia, solo nei primi nove mesi del 2022 sono stati venduti giocattoli per 36,7 miliardi di dollari. Un aumento del +2% rispetto allo stesso periodo del 2021 e del +30% rispetto al pre-pandemia. Anche il mercato italiano si conferma resiliente rispetto all’incertezza politica ed economica, classificandosi tra i sette Paesi dove il fatturato dei giocattoli è aumentato di più: nel 2021 la crescita rispetto al 2020 è stata del +9% e, nonostante il calo della natalità, anche il settore della prima infanzia ha registrato un +1,5% nei primi sei mesi del 2022.

Il gioco non è un giocattolo

“Questi dati non sorprendono – commenta Daniele Novara, pedagogista e direttore del Centro Psicopedagogico per l’Educazione e la gestione dei conflitti (CPP) – la spinta all’acquisto è iniziata con la TV commerciale e non si è più fermata. Sono quarant’anni che i bambini hanno troppi giocattoli, nonostante le ricerche al riguardo siano spietate: l’iperstimolazione crea una ridondanza cerebrale, un’occlusione neurocognitiva che impedisce ai bambini di acquisire padronanza ludica. Passano da uno stimolo all’altro senza poter investire creativamente sullo specifico giocattolo, ecco perché è necessario che i genitori operino una misurazione intelligente di questa stimolazione”.

Non esiste un “numero perfetto” per i giocattoli, ma uno studio dell’Università di Toledo aiuta a orientarsi: mettendo a disposizione di bambini tra i 18 e i 30 mesi prima quattro e poi sedici giocattoli, è emerso che la durata, il modo e la complessità del gioco raddoppiavano nell’ambiente con quattro giocattoli. “La bussola educativa, per i genitori, dev’essere la netta distinzione tra gioco e giocattolo – prosegue Novara –. Il gioco è una dimensione totalmente gratuita e libera dell’espressione infantile e andrebbe sempre privilegiato, soprattutto all’aria aperta e insieme ai compagni. I giocattoli possono essere una risorsa, ma vanno scelti in base al loro indice ludico: meglio giocattoli semi strutturati o non strutturati che permettano un utilizzo creativo”.

A suggerire un ulteriore criterio è l’UNEP, che segnala come il 25% dei giocattoli contenga sostanze chimiche nocive che non si limitano agli ormai noti ftalati e bisfenolo A. Fino a quando la regolamentazione non le includerà tutte, il consiglio dei ricercatori è evitare i prodotti in plastica morbida – dove si rilevano le maggiori concentrazioni – e mantenere aerate le camerette per evitare l’inalazione di sostanze chimiche pericolose.

Quattro milioni di tonnellate di plastica

Nel 2021 in tutto il mondo sono stati venduti giocattoli per 104,2 miliardi di dollari, registrando la migliore performance degli ultimi dieci anni. Non si tratta dell’unico record di settore, perché già nel Valuing Plastic Report del 2014, l’UNEP stabiliva che l’industria dei giocattoli è la prima per uso di plastica al mondo, con 40 tonnellate di plastica per ogni milione di dollari di entrate: calcolatrice alla mano, poco più di 4 milioni di tonnellate solo nel 2021. A questo si aggiunge l’enorme impatto ambientale causato dagli imballaggi e dal trasporto dei giocattoli, con la Cina responsabile di oltre l’86% delle esportazioni mondiali. Ma che fine fanno tutti questi giocattoli, per la maggior parte non conferibili nella differenziata? Il brand EcoBirdy, che trasforma la plasti ca riciclata in oggetti d’arredo, stima che circa l’80% finisca nelle discariche, negli inceneritori o nell’oceano.

La britannica Tracey Williams racconta sulla pagina @LegoLostAtSea i suoi ultimi venticinque anni da beachcomber alla ricerca dei cinque milioni di LEGO naufragati con la nave cargo TokioExpress, il peggior disastro ambientale legato ai giocattoli di tutti i tempi. Nel 2020 Williams ha contribuito a una ricerca dell’Università di Plymouth che ha sottoposto i pezzi ritrovati alla fluorescenza dei raggi X, stabilendo che servirebbero circa 1.300 anni prima che i LEGO naufraghi del 1997 si degradino completamente. Una durata che appare paradossale se confrontata con l’apprezzamento che i giocattoli ricevono dai bambini. Secondo un sondaggio Whirli, piattaforma UK di toy sharing, i genitori stimano che il 15% dei giocattoli ricevuti a Natale vengono dimenticati dai figli nel giro di pochi giorni. Entro un mese, questo numero aumenta al 23%, per raggiungere il 50% entro sei mesi.

La tutela del pianeta e dei bambini che lo abitano reclama quindi a gran voce un cambiamento nel modo in cui produciamo e acquistiamo giocattoli. Secondo Maurizio Cutrino, presidente di Assogiocattoli, l’attenzione delle aziende è massima ed è in corso un adeguamento graduale con la creazione di linee di prodotto dedicate, come nel caso di Clementoni, che dal 2019 contrassegna con una foglia verde tutti i prodotti della gamma Play For Future, realizzata con materiale 100% riciclato. Si tratta di un importante cambio di paradigma che richiede però uno sforzo congiunto: le aziende devono investire tempo e capitale in nuovi processi di produzione e nel difficile adeguamento della supply chain, mentre i consumatori dovrebbero dotarsi di maggiore competenza nell’acquisto, anche comprendendo che la differenza nei materiali impiegati può comportare un aumento di prezzo.

“I genitori hanno tutta la mia solidarietà – conclude Novara –. In questo campo sono un target puramente commerciale, vengono bombardati su tutti i fronti e nessuno li tutela. Negli ultimi otto anni ho notato l’avvento di una generazione di genitori con maggiore sensibilità pedagogica, ma i condizionamenti sono ancora forti e sarebbe necessario affiancare alla coscienza del singolo anche iniziative istituzionali. Ottimale sarebbe una normativa che favorisca non solo l’acquisto dei giocattoli ecosostenibili, ma che certifichi anche quelli educativamente intelligenti e creativi”.

Ci gioco un attimo poi te lo ridò

In attesa di risposte istituzionali, c’è chi ha già provato a coniugare queste istanze con progetti come Il Club dei Giocattoli, la prima piattaforma italiana di toy sharing, o Ce l’ho ce l’ho mi manca, iniziativa locale romana per il riuso dei giocattoli.

Solo in tempi recenti il concetto di riuso ha iniziato a diffondersi tra i colossi dell’industria, forse anche in risposta alle difficoltà pratiche di una transizione ecologica in tempi brevi: nel 2021 Mattel ha lanciato, in US, Germania, Francia e UK il progetto Play Back per la restituzione dei giocattoli usati all’azienda, che si impegna poi a riciclarli. Nella stessa direzione va il programma LEGO Replay, che dal 2019 ha visto 382.473 kg di mattoncini restituiti per essere poi donati. Finché le logiche di riduzione e circolarità non saranno pratica comune, l’unica bacchetta magica a nostra disposizione resterà comprare meno giocattoli e in modo più responsabile, riappropriandoci di quella titolarità educativa tanto sfidante quanto necessaria in un mondo che inizia a scricchiolare sotto il peso della sovrabbondanza.

(Foto in apertura: Dalla pagina @LegoLostAtSea della britannica Tracey Williams che racconta i suoi ultimi venticinque anni da “beachcomber” alla ricerca dei cinque milioni di LEGO naufragati con la nave cargo TokioExpress, il peggior disastro ambientale legato ai giocattoli di tutti i tempi)

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