Se davvero amiamo gli animali, è arrivato il momento di dimostrarlo: intervista a Henry Mance

Nel suo libro “Amare gli animali” giornalista inglese esplora le sofferenze che, più o meno consapevolmente, siamo capaci di infliggere agli animali e indica la strada per una nuova possibile convivenza basata sul rispetto e la comprensione

di Claudia Bellante

Innanzitutto va detto che, una volta finito di leggere Amare gli animali, Henry Mance lo vorresti come amico. Passare le domeniche con lui, sua moglie Susie e le figlie Eliza e Cleo nel loro giardino londinese deve essere uno spasso. Ricordando le storie delle due povere galline ovaiole che proprio lì hanno avuto un fine vita felice, e osservando le tartarughe che si muovono lente, consapevoli della prospettiva decennale che invece le attende.

Un lungo viaggio attraverso le nostre contraddizioni

Perché Amare gli animali è un libro che solo a uno sguardo disattento può sembrare l’ennesimo saggio sul “mangiare vegano cercando di ridurre il più possibile la nostra carbon footprint”. Amare gli animali è invece il racconto ironico e dissacrante di un lungo viaggio che comincia dalle nostre più profonde incoerenze e ci porta lontano, nella terra spesso inesplorata del dubbio e della messa in discussione di noi stessi. Tappe intermedie, e necessarie, però ce ne sono parecchie, e Mance, giornalista del “Financial Times”, nominato “Intervistatore dell’anno” ai British Press Awards 2017, decide di farle in prima persona. Lavorando ai nastri trasportatori del mattatoio Farge Farm Meats dove “litri di fluidi si rovesciano sui pavimenti, insieme a lana e brandelli di corpo non identificati”, e passeggiando all’alba al mercato del pesce di Vigo, il più grande dell’Unione Europea, per “capire che la pesca riguarda davvero poco i pesci”.

Nel libro di Mance non mancano le analisi sugli allevamenti intensivi e certo si parla dell’abbattimento dei pulcini maschi, ma grazie a lui prendiamo parte anche alle battute di caccia selettiva al cervo a Cornbury park e al cinghiale in Polonia. Andiamo a visitare zoo, laboratori di ricerca medica e finiamo sulla spiaggia di San Francisco circondati da esemplari di Corgi Corn “vestiti da squalo, da poliziotto, da pupazzo di neve, da pilota, da cavallo con un cowboy in groppa, da pignatta e da Chewbecca di Guerre stellari”. Manca solo la regina Elisabetta!

Amiamo davvero gli animali?

Perché se diciamo – e tutti noi lo diciamo – di amare gli animali, questo non vuol dire semplicemente fare due coccole al nostro gatto prima di dargli una spintarella per farlo saltare giù dal letto che vogliamo rifare, e nemmeno portare fu ri in fretta e furia il cane la sera, senza nemmeno avere la pazienza di raggiungere il parchetto più vicino. Ma vuol dire riconoscere a tutti gli animali, non solo a quelli che ci piacciono o che vivono nelle nostre immediate vicinanze, la capacità di provare emozioni e sofferenza. Vuol dire combattere la “deliberata ignoranza” che ci porta a credere che possiamo mangiare carni provenienti da bestie che non sono state torturate prima di finire nel nostro piatto e vuol dire, innanzitutto, rinunciare alla meschina forma di potere che esercitiamo, più o meno consapevolmente, sulle altre creature.

Sin dalle prime pagine del libro, appare infatti chiaro come il trattamento che noi umani riserviamo agli animali abbia strette analogie con il razzismo. Accarezziamo barboncini e siamesi – esempi di razza bianca animale – e maltrattiamo, in modi diversi e a loro modo originali, praticamente tutti gli altri. Ma in quanto occidentali, riflettiamo più di altre società il nostro atteggia mento di superiorità anche nella relazione con le altre specie? Oppure noi umani siamo tutti ugualmente razzisti nei confronti degli animali?  “Ci sono sicuramente elementi di altre popolazioni dai quali possiamo imparare – osserva Mance -. In India, oltre un quarto delle persone è vegetariano. Le comunità indigene del Sud America hanno spesso un profondo rispetto per la natura: capiscono che non siamo soli in questo mondo. Ma sono riluttante a romanticizzare qualsiasi società. I cacciatori indigeni possono essere crudeli. Non esiste popolazione che abbia raggiunto un giusto equilibrio con le altre specie. La mia speranza è che, dato che non abbiamo più bisogno di trattare gli animali crudelmente per ottenere cibo o altri prodotti, possiamo iniziare a costruire una civiltà diversa”.

Gli animali e l’infanzia

L’amore per gli animali, lo percepisce chiunque abbia a che fare con i bambini, è qualcosa di innato. Non c’è paura, non c’è distanza. Mance stesso scrive: “Qualunque genitore nota l’aspirazione dei figli a esplorare il mondo animale. I lattanti sono attirati più dagli animali vivi che dai giocattoli. I nomi degli animali sono tra le prime parole imparate dai nostri bambini, i loro versi tra i primi rumori che ripetono”. Ma perché questo poi si perde? In quale momento cominciamo a vederci diversi, superiori, perdendo l’ammirazione e il rispetto verso le altre specie? “Penso che sia un processo graduale, che inizia molto presto, prima ancora della scuola. Quando un bambino guarda un cartone animato di Peppa Pig e poi gli viene offerto del maiale per cena, impara ad accettare nella sua mente la contraddizione. Noi umani siamo bravissimi a tollerare le contraddizioni. Soprattutto, apprendiamo che questo comportamento – mangiare animali, danneggiare l’ambiente, eccetera – è normale. Ed è molto difficile mettere in discussione ciò che è normale“.

Immaginare nuove tradizioni

C’è un passaggio nel libro di Mance nel quale l’autore cita una frase della scrittrice di cucina Bee Wilson: “Ognuno di noi inizia la propria vita bevendo latte. E da lì in poi va bene tutto”, accompagnandola a una citazione tratta da Liberazione animale, il saggio del filosofo australiano Peter Singer, pubblicato nel 1975 e considerato uno dei testi fondamentali dell’animalismo: “Così, a proposito del fatto di mangiare carne, noi non prendiamo mai una decisione cosciente, informata e libera dal pregiudizio che accompagna qualsiasi abitudine che sia radicata da lungo tempo e che venga rinforzata da tutte le spinte all’acquiescenza sociale“. Quasi che il nostro mangiare carne sia paragonabile a un’usanza religiosa? «Si, esattamente – risponde Mance -. La carne fa parte del nostro patrimonio culturale. Ma dovremmo mettere in discussione le tradizioni e dovremmo renderci conto che i pasti in famiglia – compleanni, Natale, qualunque cosa – sono altrettanto gioiosi anche se non serviamo carne. La carne non è ciò che li rende speciali”.

Animalisti vs ambientalisti

Mance ha lavorato al libro tre anni, mantenendo comunque il suo incarico da giornalista politico al FT. Ha incontrato allevatori, pescatori, scienziati, attivisti, filosofi, mettendo di volta in volta in discussione ciò che si trovava davanti e sottolineando alcuni paradossi. Come la contrapposizione tra ambientalisti e animalisti. Se pensiamo infatti alle recenti manifestazioni degli attivisti di Ultima Generazione o di Just stop oil nei musei italiani e del mondo, il discorso del rispetto degli animali come condizione necessaria alla salvaguardia del pianeta non emerge. Così come è difficile riscontrare nelle proteste degli animalisti un discorso più ampio che prenda ad esempio in considerazione alcune domande scomode. Come: “Dovremmo uccidere i topi per proteggere uccelli rari? Dovremmo uccidere i cervi per permettere alle foreste di crescere? Gli animalisti rispondono di no, gli ambientalisti sostengono di sì”.

Se però a interessarci sono l’equilibrio e la sopravvivenza del pianeta, in una prospettiva non esclusivamente antropocentrica, animali-mo e ambientalismo devono per forza andare a braccetto. “Dovrebbero essere le due facce della stessa medaglia. E penso che stia accadendo – osserva Mance -. Gli attivisti per il clima vogliono parlare di cibo – Greta Thunberg è vegana, David Attenborough ha per lo più rinunciato alla carne – perché sanno quanto delle nostre emissioni provenga dal bestiame (16,5%!). Ma è importante anche riconoscere l’impatto del cambiamento climatico sugli animali che non possono, come noi, adattarsi a condizioni meteorologiche estreme. Basta pensare ai 3 miliardi di animali danneggiati dagli incendi in Australia nel 2019-2020. Quando proteggiamo la Terra, proteggiamo la nostra casa e la casa di tante altre creature senzienti”.

Ma come possono gli animali diventare un tema politico? “In realtà, penso che molti politici tradizionali adorino gli animali – riflette Mance -. Joe Biden, Emmanuel Macron e Boris Johnson hanno adottato dei cani poco dopo essere entrati in carica. I politici intelligenti capiscono che ci sono voti nella cura degli animali: la conservazione è popolare, la crudeltà no. Ma dobbiamo ampliare la sfera di azione possibile. In Gran Bretagna ad esempio abbiamo vieta-to gli animali vivi nei circhi, ma questo riguarda solo poche specie. Il vero cambiamento verrà da standard più elevati di benessere agricolo, che stanno arrivando (ancora una volta perché sono popolari tra gli elettori). E i partiti verdi possono davvero essere importanti per portare avanti questa agenda”.

Un mondo vegano

Nella sua lunga ricerca Mance ha visitato Impossible Foods e Beyond Meat, “le due aziende americane ad aver prodotto probabilmente i sostituti della carne più convincenti”. Ma in un mondo vegano, che senso hanno prodotti che vogliono a tutti costi riprodurre il sapore della carne? Mance risponde a questa mia obiezione già nel libro: “Non ho mai capito perché i vegani vengano derisi per i prodotti che imitano la carne, come per esempio salsicce e hamburger finti. Stiamo parlando del gusto, della consistenza e della preparazione che abbiamo imparato a conoscere per tutta la nostra vita, ed è ovvio che cerchiamo di tenerceli stretti”. E quando ne discutiamo aggiunge: “Qual è il problema con la copia del gusto della carne? Se riusciamo a produrre lo stesso gusto senza crudeltà e con un minor impatto ambientale, perché no?”.

Bat Brown, scienziato e fondatore di Impossible Foods, considera gli allevamenti di bestiame un disastro ecologico e aspira a porvi fine entro il 2035. “Ho pensato – riflette Mance – ai produttori gallesi che vivono sulle colline da secoli, i fazendeiros brasiliani che sconfinano nell’Amazzonia, i mandriani mongoli per i quali i propri cavalli rappresentano sia la famiglia che il cibo. Nella visione di Brown, le vite di tutti loro verrebbero stravolte. Il veganismo non sarebbe limitato a celebrità di Hollywood, attivisti iper-razionali e seguaci delle diete di gennaio, ma sarebbe per tutti, per sempre. E il cambiamento avverrebbe in maniera liscia, quasi alla chetichella, perché gli amanti della carne passerebbero a un prodotto con lo stesso sapore”. La domanda però resta: cosa ne sarà allora dei lavoratori attualmente impiegati nell’industria della carne? “Sì, ci sarebbe un impatto sulle persone che lavorano nel settore – ammette Mance -. Ma mettiamolo in prospetti- va. L’agricoltura è un datore di lavoro relativamente piccolo in Europa: circa uno ogni 25 posti di lavoro. Solo alcuni di questi si trovano nella carne e nei latticini. Anche gli agricoltori si sono sempre adattati, ad esempio ai sussidi offerti dall’UE. La loro terra avrà ancora un enorme valore, per la produzione di raccolti o per la conservazione. Ma i governi non possono continuare a sovvenzionare così tanto l’industria della carne, dato il suo impatto ambientale. Dovrebbero invece offrire agli agricoltori e ad altri lavoratori sostegno e formazione per orientarsi in nuovi settori”.

La foto con il leoncino

Leggendo i racconti di Mance e le sue visite negli zoo, anche quelli più all’avanguardia e apparentemente attenta al benessere an male, mi sono ricordata di quando da piccola, la domenica mattina, mio papà mi portava a vedere l’orso bruno e le tigri ai Giardini Pubblici di Porta Venezia, a Milano. Oggi non lo farebbe mai e io stessa mi sentirei a disagio. Così come, quando dagli album di famiglia salta fuori una foto di me, forse seienne, seduta in un circo con un golfino rosso natalizio e in braccio un cucciolo di leone, i sorrisi che spuntano dai volti della famiglia sono velati dalla consapevolezza che ciò che un tempo ci sembrava normale – maltrattare degli animali per il presunto divertimento di grandi e piccini – oggi ci appare crudele e insensato. Se, dunque, nel corso di qualche decennio, siamo riusciti a sentire profondamente la sofferenza di determinate specie e abbiamo cambiato alcune delle nostre abitudini e usanze, cosa possiamo ora fare per completare l’opera? Per non sentirci più in contraddizione quando diciamo di amare gli animali spalmando del formaggio sul pane o addentando una coscia di pollo? “Il mio messaggio è: fai qualcosa! – suggerisce Mance -. Non importa se è solo qualcosa di piccolo, come rinunciare alla carne tre giorni alla settimana o scambiare il latte di mucca con il latte d’avena nel caffè. Credo che il cambiamento sia un processo. Inizi perché ti senti a disagio con lo status quo. Fai piccoli passi, poi ne fai di più grandi. In pratica, se volete mangiare meno carne, il mio consiglio è: comprate tanta verdura di stagione (e fagioli di buona qualità), e un ricettario vegano. Non preoccupatevi di cosa penserà la gente. Non vi giudicheranno. Io ho iniziato rinunciando al pesce, poi sono diventato vegetariano, ora sono vegano. Ho apportato queste modifiche perché ho continuato a riflettere sul mio impatto sugli animali e ho deciso di fare di più“.

In treno a Torino

Quando è andato alla Fiera del Libro di Torino, un paio di anni fa, per presentare Amare gli animali, Mance è arrivato da Londra in treno, fedele al suo proposito di limitare il più possibile gli spostamenti in aereo, si è commosso raccontando al pubblico delle tartarughe che vivono nel suo giardino e la sera ha gustato dei ravioli ai broccoli “Dai Saletta”, un ristorante tipico della tradizione piemontese famoso per il brasato al Barolo. “La maniera più rapida per migliorare il modo in cui trattiamo gli animali è allargare il nostro cortile concettuale, restringendo nel frattempo il numero di ettari che calpestiamo. Anche nelle città più frenetiche e movimentate, gli animali sono dappertutto. Da bambino ho imparato a restare a bocca aperta per panda e tigri. Con le mie figlie, adesso sto imparando a trovare ancora più bellezza in ogni spicchio di mondo naturale. Mentre scrivo queste ultime parole, la mia gatta si sta arrampicando sulla tastiera e una gazza ladra sta volando avanti e indietro fuori dalla finestra. Un’ape si è appena infilata sotto il vetro. Basta aprire gli occhi e la mente per rendersi conto che non siamo soli su questo pianeta. Quindi, dovremmo smetterla di comportarci come se lo fossimo».

Iscriviti alla newsletter e ricevi subito l'ebook gratis

Quattro ricette MAI pubblicate sul sito che potrai scaricare immediatamente. Puoi scegliere di ricevere una ricetta al giorno o una newsletter a settimana con il meglio di Vegolosi.it.  Iscriviti da qui.

Sai come si fa la salsa zola vegan? Iscriviti alla newsletter entro e non oltre l'11 maggio e ricevi subito la video ricetta

Print Friendly
0